giovedì 28 giugno 2018
Il 3 luglio 1968 nasceva l'associazione dei calciatori. Parla lo storico fondatore: «Un sindacato di tutti, non solo dei campioni»
Sergio Campana, presidente dell’Aic dal 1968 al 2011

Sergio Campana, presidente dell’Aic dal 1968 al 2011

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«Sergio ricordi? Son passati cinquant’anni... «Ricordo... ricordo... Tu eri già grande, io avevo sei anni...». Che bello risentirlo sempre allegro, ironico, il mitico Avvocato Campana, «quello del sindacato calciatori ». Cento telefonate, fra noi, in questo mezzo secolo, non è che uno correva a Bassano del Grappa per parlargli, giusto qualche rara occasione per mettere insieme a tavola anche Gigi Agnolin, il più arbitro di tutti gli arbitri; e al telefono sempre lo stesso, decennio dopo decennio, come quei cantanti che invecchiano con la voce giovane (mi chiamava Giorgio Consolini e gorgheggiava “Giamaicaaa” con l’immutata vivissima voce che sembrava arrivare da esotici paradisi; andava verso i cent’anni, sembrava n’avesse venti...). Cent’anni no, Campana, neanche sei: «Era il 3 luglio 1968. Dopo una preriunione ci trovammo a Milano, dal notaio Barassi, per fondare l’Associazione Calciatori. Rivera, Mazzola, De Sisti, Losi, Giacomino e io...». Giacomino Bulgarelli, l’unico che ci ha lasciato, e ci manca. «Decisero di darmi la presidenza per un solo motivo: loro giocavano, io avevo appena smesso, ed ero l’unico calciatore laureato, l’avvocato Campana, capisci? L’idea era partita da Coverciano, il ritiro prima della partita Bulgaria-Italia del 6 aprile... Ci trovammo per approfondire un argomento che già ci stava a cuore... Mazzola e Rivera erano le stelle della Nazionale...». Già, un’Italia indimenticabile che di lì a pochi mesi avrebbe vinto la sua unica Coppa Europa. Un Sessantotto diverso, il nostro: molto calcio, per noi, mentre il Maggio degli altri era infuocato. Molto calcio, è vero, ma poco rispetto delle regole, se c’erano, e spesso mancavano soprattutto i diritti. Umani. Non esagero. Solo che non tutti capirono la scelta di quei campioni (Campana era stato anche centravanti del “mio” Bologna) e proprio da campioni li trattai io, scrivendo «è nato il sindacato dei piedi d’oro, dei milionari, ci mancava solo questo». Oggi verrei definito populista, allora Sergio Campana, molto meno sorridente del solito, mi mandò a quel paese. Spiegando perché era nata l’associazione. «Pensa, a quei tempi esisteva una norma che prevedeva il taglio del 40% se il calciatore di A non giocava almeno 20 partite, 24 quello di B...».

Bastava che l’allenatore fermasse il giocatore a 19, a 23...

«S’è visto anche di peggio. Pensa che i dirigenti potevano fare quel che volevano, trasferire uno senza neppur chiedergli se fosse d’accordo...».

Allora scrissi di vite vendute...

«Ma riuscimmo imporre il diritto di rifiutare o accettare la cessione. Altro che sindacato dei milionari, ci mettemmo in gioco per gli altri, non per i capi/campioni che mi stupirono per il loro attivismo, la puntualità, la passione per la giustizia... ».

Con chi avevate a che fare in Federazione e in Lega?

«Con Artemio Franchi e Aldo Stacchi... ».

Vi era anche andata bene: due dirigenti coi fiocchi...

«Sicuro, ma anche loro frenavano davanti alle nostre richieste, all’inizio pareva che fosse innaturale darci la parola. Alla fine però hanno capito tutti Carraro, Matarrese, Abete. Adesso c’è Tommasi, al mio posto, uno che si dà da fare, ma non contiamo abbastanza, in Consiglio Federale, per portare avanti celermente i nostri progetti...».

Se ben ricordo, hai sempre rifiutato appoggi politici...

«Ricorda bene. Nel tempo sono stato avvicinato dai capi dei partiti che volevano strumentalizzarci ma non abbiamo mai accettato compromessi».

Qual è il caso più eclatante che avete risolto?

«Ricordi Tumburus? Dovemmo intervenire per tutelare la sua immagine: era finito alle buste, come si dice, e valutato in maniera scandalosa... ».

Il Vicenza offrì 175 lire, il Rovereto 25. Un grande difensore del Bologna scudetto. È capitato altre volte che calciatori anche importanti avessero problemi economici. Ho sentito Altafini dire che si è ritrovato una pensione di 700 euro...

«Non so perché. I calciatori hanno sempre pensioni importanti e la legge 366 gli garantisce la previdenza, l’assistenza Enpals... poi può capitare come è capitato a me: non avendo capito una normativa mi sono trovato una pensione di 130mila lire. Ribadisco lire».

Come giudichi questo momento del calcio?

«Complicato. Noi siamo entrati nel governo con la legge Melandri, potremmo anche avere un certo potere. Ma in realtà ci vuol poco a metterci in minoranza. Pareva che Abete avesse messo d’accordo quasi tutti, poi sembra che con tre mandati abbia già fatto la sua parte».

So che continui a fare l’avvocato, in fondo sei un ragazzo... Ti concedi i Mondiali di Russia?

«Li vedo, li vedo e mi diverte il fatto che giochino quasi tutti all’italiana, difesa e contropiede. Guarda l’Iran...».

E l’Italia fuori?

«Peccato, in Russia avrebbe fatto la sua figura. Adesso bisogna ricostruire la Nazionale».

Cosa pensi di Mancini?

«Fare bene il ct è difficile, ci vuole anche fortuna. Lo conosco bene, diamogli fiducia, la merita...Tatticamente siamo i migliori. Ritorneremo ».

Sergio Campana cinquant’anni dopo. Incontro da amici, Siamo stati anche su fronti ideologici opposti ma fra i pochi allori colti nella mia vita di giornalista c’è una targa offertami dall’Aic per volontà di Sergio che conservo con orgoglio: mi fu consegnata nel 1982 quando, praticamente solo, difesi a spada tratta gli azzurri dopo le incertezze di Vigo; i poteri forti - media, politici, intellettuali - pretendevano che fossero richiamati a casa. Restarono, resistettero, giocarono. E vincemmo il Mondiale più bello.

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