martedì 18 giugno 2019
I medici: dopo il malore di lunedì, è stabile. La sua prima carriera è stata come regista teatrale: nel 1958 portò per primo Beckett in Italia. Montalbano inventato come "integrativo" per la pensione
Lo scrittore e regista Andrea Camilleri, 93 anni (Ansa)

Lo scrittore e regista Andrea Camilleri, 93 anni (Ansa)

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Le condizioni di Andrea Camilleri sono stazionarie, pur nella loro criticità, dopo la prima notte all'ospedale Santo Spirito di Roma, dove è ricoverato in rianimazione da ieri dopo un arresto cardiorespiratorio. Lo ha riferito Roberto Ricci, direttore del reparto di cardiologia. "Il paziente è in assistenza con supporto respiratorio meccanico e farmacologico e sedazione farmacologica", ha aggiunto il medico.

Grande l'emozione provocata dalle condizioni dell'anziano autore, che negli ultimi vent’anni è diventato lo scrittore italiano più conosciuto ed amato dai lettori, grazie alla figura del protagonista dei suoi romanzi, il commissario Montalbano.

Nonostante l’età avanzata, Camilleri non ha mai mancato di stupire i suoi ammiratori, tanto che la scorsa estate era ritornato ad una delle sue passioni e aveva impersonato il ruolo dell’indovino Tiresia al Teatro Greco di Siracusa, una scelta fatta per intuire l’eternità. Nella più recente intervista che aveva rilasciato ad Avvenire, spiegava: «A 93 anni è un pensiero inevitabile: ci si accorge che qualcosa si sta avvicinando e non si sa bene che cosa sia. A me piace chiamarla “eternità”, In teatro, a Siracusa, mi pare di averne davvero intuita l’essenza, Camminavo sulle stesse pietre calpestate da Eschilo, si rende conto? Questa è una forma possibile di eternità».

Camilleri è nato a Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, il 6 settembre 1925, figlio unico, una condizione che ha segnato la sua infanzia: «Ero piccolissimo, avevo cinque o sei anni e mi disperavo di essere figlio unico. Mi ricordo di aver molto patito il fatto di non avere né fratelli né sorelle; certo, avevo i compagni di scuola o gli amici con i quali giocare, ma avrei voluto qualcuno con cui crescere: avere una sorella era il mio sogno. Credo che il mio grande amore per le donne nasca proprio dalla ricerca di quella sorella mai avuta».

Pur amando la letteratura e la poesia, vi si è dedicato con un impegno instancabile e inesausto solo a partire dagli anni Novanta, quando le inchieste del commissario Montalbano (la prima, La forma dell’acqua, pubblicata da Sellerio è del 1994) gli hanno portato un successo che lui stesso non avrebbe mai immaginato, quasi una sorta di caso, volto inaspettatamente a suo favore, e un mestiere al quale aveva pensato solamente come un buon modo per integrare la pensione e, nel caso si fosse ammalato, avere la sicurezza di potersi pagare le cure necessarie. Invece gli ha portato una serie di ampi consensi e di riconoscimenti non solo in Italia, ma in tutto il mondo, grazie anche al successo dei film per la televisione, dedicati al suo commissario, che hanno sempre avuto record di ascolti.

Uomo colto, di grandi letture, anche nella scelta del nome del suo compagno di scrittura per tanti anni, Camilleri dedica il suo cognome ad un grande scrittore di gialli spagnolo, molto letto anche in Italia, negli anni Ottanta, Manuel Vázquez Montalbán, ideatore di un altro famoso investigatore, Pepe Carvalho: del resto i loro due personaggi hanno in comune l'amore per la buona cucina e per le buone letture, oltre a modi piuttosto sbrigativi e non certo convenzionali nel risolvere i casi, oltre a costanti situazioni d’amore complesse e piuttosto complicate.

Camilleri si è occupato soprattutto di teatro, come regista, dopo essersi trasferito a Roma. Ha studiato regia all'Accademia di arte drammatica e regia qui ha insegnato dal 1977 al 1997. È un appassionato di Pirandello e ha fatto anche scelte innovative e coraggiose, come quella di essere stato il primo ad aver diretto uno spettacolo di Samuel Beckett in Italia, nel 1958: Finale di partita, con Adolfo Celi e Renato Rascel. Negli anni Sessanta arriva alla Rai, dove lo troviamo anche come sceneggiatore dei memorabili film per la tivù, dedicati al Maigret di Simenon, con protagonista l’indimenticabile Gino Cervi, figura, quella del commissario francese, che gli è particolarmente congeniale, attento com’è ai rapporti umani e alle trame delicate della realtà.

Negli anni Settanta ha pubblicato i primi romanzi e Un filo di fumo, la sua seconda prova narrativa, è scelta nel 1980 da un editore esigente come Livio Garzanti. Il romanzo ha un buon riscontro critico, ma non basta a far conoscere Camilleri al grande pubblico.

Di lì a pochi anni avverrà invece l’incontro che segnerà il suo destino, quello con una donna straordinaria, che allora scopriva scrittori appartati del calibro di Gesualdo Bufalino e inizia a credere nelle possibilità di questo autore già avanti negli anni, ma con potenzialità tutte da scoprire. Camilleri e Elvira Sellerio si conoscono tramite Leonardo Sciascia che aveva letto, nel 1983, un suo libro, La strage dimenticata, e che gli era piaciuto e ne aveva parlato con “la Signora”, che lo aveva pubblicato.

Tra loro era nata quella che Camilleri aveva definito «l’amicizia siciliana… fatta anche di silenzi, di occhiate, del piacere di sentirsi l’uno accanto all’altra». E di lei ricorda una “lezione particolare” che è stata un monito per la sua scrittura. In occasione della pubblicazione de La stagione della caccia, nel 1994, gli disse quali erano i rischi in cui poteva incorrere la sua scrittura, soprattutto in quell’amalgama di lingua e dialetto, nell’uso di un italiano fortemente contaminato da elementi della parlata siciliana, ricordandogli di non perdere mai di vista l’ironia e la leggerezza. Ricordava Camilleri: «Fu la prima ed unica lezione di scrittura nella mia vita e non l'ho dimenticata, l'ho tenuta e la tengo sempre presente, e anche di questo, ma non solo di questo, non posso che dirle grazie».

Cosi l’impasto linguistico usato dallo scrittore siciliano, non diventa mai manierista, ma si trasforma in una sorta di linguaggio musicale: «Per me non si tratta di incastonare parole in dialetto all'interno di frasi strutturalmente italiane, quanto piuttosto di seguire il flusso di un suono, componendo una sorta di partitura che invece delle note adopera il suono delle parole. Per arrivare ad un impasto unico, dove non si riconosce più il lavoro strutturale che c'è dietro».

La vasta produzione narrativa di Camilleri in questi anni si è sviluppata su due fronti, da una parte quella del poliziesco, con tutto il fascino di Vigata, che non si trova sulla carta geografica, ma che geograficamente si colloca nel territorio compreso tra la collina di Girgenti e il mare africano e che diventa il luogo fantastico in cui vive il mondo indagato dallo scrittore, anche nella serie dei romanzi storici, come ad esempio La mossa del cavallo (1999), che rappresentano l’altro aspetto della sua scrittura.

In questo territorio letterario e universale, ma geograficamente caratterizzato, facilmente riconoscibile, si muovono agevolmente i personaggi delle storie (Zosimo “re di Girgenti”, Montalbano, Catarella, Mimì Augello) e diventano reali e plausibili anche le storie più fantastiche e paradossali. Anche se Camilleri non ha mai rinunciato a raccontarci la realtà e la sua complessità. Al nostro Alessandro Zaccuri ha detto: «L’impegno sta nella scrittura stessa, nell’onestà alla quale ci si deve attenere nel momento in cui si mette mano alla pagina. La dimensione civile scaturisce da qui e può assumere forme diverse: il tentativo di interpretare l’eterna complessità italiana nei romanzi storici, l’intervento sulla cronaca in alcuni articoli che mi sento di scrivere anzitutto più come cittadino che come romanziere».

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