martedì 25 maggio 2010
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Perché tutto cambi, facciamo in modo che tutto resti uguale. Comincia così, in maniera gattopardesca la missione azzurra verso Sudafrica 2010.  Arrivando a Sestriere, sotto le cime nevose, il passato non è affatto una terra straniera per la Nazionale. Il Sergente nella neve Marcello Lippi come quattro anni fa ha il ciglio alto e seccato del tosco che non vuole noie. La sindrome dell’accerchiato l’ha colpito ancora e contagia tutta la brigata, dai veterani ai «14 nuovi». L’abbraccio mancato con i tifosi alla Reggia di Venaria ha fatto riecheggiare il coro «Vergogna» che rimanda alla vigilia rabbiosa del Mondiale del 2006. Allora però la rabbia e il pregiudizio popolare nascevano dallo scandalo di Calciopoli e da una serie di conflitti di interessi che toccavano in prima persona il ct (il figlio Davide coinvolto nel "Caso Gea"). Acqua passata? A ben guardare la scia nera di Calciopoli continua, almeno nell’aula del Tribunale di Napoli, anche se lo slogan moggesco «tutti colpevoli, tutti assolti» rischia di cancellare anche l’incancellabile. Oggi invece l’indignazione è ben lontana dalle memorie delle schede telefoniche regalate dalla Cupola ai designatori arbitrali e siamo distanti dalle "civiche" intercettazioni che non sentiremo più; il popolo alza la barricata anti-Nazionale per un banalissimo scatto negato. Lo scandalo sotto il sole piemontese è infatti scaturito dalla foto mai scattata con gli azzurri, dalla mamma di Venaria e dal suo pargolo infelice che ha fomentato i cori contro dei "mille" in tricolore. Quel «Vergogna!» al Sergente nella neve non è andato giù: «Qualcuno in Italia tifa contro di noi», ha tuonato Lippi domenica. Nessun riferimento a "trote" antipatriottiche come Bossi jr, anche perchè 24 ore dopo ecco guizzare tra la piccola folla d’altura i salmoni azzurri: in controcorrente con il giorno prima, fuori gli autografi. Foto e strette di mano per tutti. Ma lo spettro del nemico per il ct si aggira dietro alle montagne, dalla Alta Val di Susa alla Table Mountain di Cape Town. E anche se il nemico non c’è, fa comodo inventarlo, perché questo è il vero segnale della tradizione dell’Italia che va alla "guerra mondiale" del pallone. Nel solco della trincea, come quattro anni fa si conferma il "blocco juventino" e Lippi è pronto a planare a Johannesburg (partenza 8 giugno) con un contingente di 6 bianconeri. Potevano essere 8 senza i tagliati Grosso e Candreva, e se nel caso, qualcuno al ct glie l’avesse fatto notare avrebbe bruscamente risposto: «E’ il numero degli juventini che erano in campo nella finale di Berlino». Come nei giorni dell’ira di Duisburg, anche nella quiete olimpica di Sestriere, Lippi è arrivato con il passo nervoso del dimissionario, al punto che qualche tifoso pensava già di trovare Cesare Prandelli a dirigere il primo allenamento pre-Mondiale. Come nell’estate calda di Calciopoli, anche il capitano ridens Fabio Cannavaro si ritrova dinanzi a un futuro incerto con la Juventus: il suo contratto scade il 30 giugno e l’opzione non è stata rinnovata. A giugno 2006 Cannavaro visse serenamente la scelta obbligata: o l’inferno della Serie B che attendeva  per la prima volta i "dannati" della Juve o il nuovo contratto milionario con il Real Madrid. Optò per la seconda via, quella più facile (i compagni azzurri Buffon, Camoranesi e Del Piero accettarono invece la retrocessione in B) che lo fece bollare come "mercenario", ma fu anche il cammino che lo consacrò Pallone d’Oro. È con lo stesso petto in fuori e carico delle 4 stellette iridate che Cannavaro, a 36 anni, da juventino precario celebra «la società degli Agnelli, ma che fu anche di Giraudo» e sintonizzandosi su RadioLippi fa il suo appello alla Nazione: «Sono da 13 anni in azzurro e non ricordo mai una partenza tranquilla. Spiace sentirci trattare come gli ultimi arrivati. Siamo i campioni del mondo in carica e questo non lo dovete dimenticare. Non vi aspettate il bel gioco del Barcellona e della Spagna, noi giochiamo secondo la nostra tradizione. Non ci sono i fantasisti in questo gruppo? Ma così non ci saranno neppure le "staffette". In 100 anni di storia del nostro calcio, solo una volta abbiamo vinto due Mondiali di fila. Dobbiamo crederci: non succede, ma se succede...».Quella Nazionale campione del mondo, nel ’34 e nel ’38, era guidata dal tenente degli Alpini Vittorio Pozzo. Sul campo d’allenamento di Sestriere - appena il Sergente Lippi riporta i suoi nell’albergo-caserma - la guardia la fanno giovani militari con la penna al vento...
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