giovedì 13 novembre 2014
​Addio ai colori tradizionali, le squadre della serie A cambiano le casacche di continuo. Un elemento che può produrre ulteriore disaffezione da parte dei tifosi.
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Poi uno questo campionato e questo calcio da basso impero prova anche a difenderli, ma i motivi per turarsi il naso sembra quasi che se li vadano a cercare. Perchè il pallone è sempre stato soprattutto fede, passione, attaccamento. Magari non ai risultati - specie se non arrivano più - ma ai colori, o almeno alle facce. Ecco invece che uno va allo stadio e nemmeno la fisionomia dei suoi eroi in mutande la riconosce più. Giocatori esotici, nomi impronunciabili, gente che va e che viene come alla stazione. Così la domanda, sugli spalti e davanti alla tv, se uno non è stra-appassionato e super-aggiornato, è sempre più questa: «Ma quello chi è? Gioca per noi? E da quando?...». Ventun stranieri in campo su ventiquattro giocatori scesi in campo in Inter-Verona, di certo non aiutano a nutrire il senso di appartenenza. Dicono sia inevitabile: il pallone multirazziale non ammette distinguo. Appunto. Però sarebbe bello ogni tanto sapere per chi fai il tifo. Per non doversi chiedere, prima o poi, perchè lo fai. Ma il trionfo della disaffezione lo stanno provocando i geni del marketing. Che impongono ai club di cambiare spesso colore delle casacche ufficiali per spingere il tifoso ad acquistare le equivalenti in negozio, ogni anno diverse e aggiornate. Inevitabile pure questo, forse. Ma i suddetti geni non hanno capito che se i bianconeri giocano con la maglia azzurro scura, e i giallorossi sfoggiano un completo nero (elegante forse, ma del tutto senza ragione), la gente che guarda mica è così felice. E che quella camicia multicolor magari invece che comprarla, inizia ad odiarla. Eppure accade con frequenza sempre più ossessiva. I bianco-crociati del Parma domenica si sono esibiti in un verde pisello forse più rivoltante per i loro tifosi dei 7 gol subìti a Torino. Erano maglie speciali, cromaticamente particolari proprio per essere poi vendute all’asta per beneficenza, hanno spiegato. Nobile l’intento, pessimo il risultato, anche estetico. Nessuna ragione umanitaria aveva invece la maglia amaranto dei biancazzurri della Lazio a Empoli, o il gessato blu notte con righina tipo-pigiama sfoggiato dall’Inter. Pure pericoloso nel caso, visto che in effetti in campo quelli che una volta si chiamavano nerazzurri hanno dormito parecchio. Riassumendo: il cuore tifoso è ormai disilluso, ma l’occhio pretende ancora la sua parte. Vestitevi come una volta, per favore. Come ha detto qualcuno, l’eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare.
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