giovedì 7 luglio 2011
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Si può nell’eldorado del calcio-business non vendere l’anima al diavolo, far gestire la società interamente ai propri tifosi e far diventare l’azionariato popolare la massima forma democratica applicata a una realtà sportiva? In cento anni di storia questo è stato possibile soltanto in un club europeo, il Sankt Pauli, il cui slogan è: «Non established since 1910». Il club più no-global che esista, in un secolo di vita, solo per tre volte si è affacciato nel gotha della Bundesliga, per retrocedere quasi immediatamente. Ma qui dopo l’ultima promozione nella massima serie del 2010, l’anno del centenario, e la retrocessione di giugno, ultimo posto con il ritorno in Bundeslisga 2 (la loro Serie B), l’atteggiamento è sempre lo stesso: testa alta nella vittoria, come nella sconfitta. Orgoglio e nobiltà di una squadra che il massimo risultato raggiunto è stata la qualificazione alla semifinale della Coppa di Germania, grazie anche al suo campo esposto al vento e alla neve, ma dove persino il colosso del Bayern Monaco ha assaggiato l’amaro della sconfitta. La squadra più idealista degli almanacchi internazionali, è sopravvissuta anche al cambiamento del quartiere “peccaminoso”, quello a luci rosse in cui è nata la seconda squadra di Amburgo, ma forse la prima di Germania, visto che conta 5 milioni di simpatizzanti sparsi per il mondo. Un’isola anarchica quella del St Pauli, che dalla metà degli anni ’80 ha compiuto la sua rivoluzione, diventando un autentico modello da studiare e possibilmente da imitare, specie dalle società italiane. Il suo stadio, trasferito al porto, nel quartiere vicino a Reeperbahn, è diventato un autentico luogo di culto perché questo club è la perfetta fusione tra società, squadra e tifoseria. Nella svolta degli anni ’80, i tifosi adottarono come stemma non ufficiale il “Jolly Roger”, il teschio con le ossa incrociate, simbolo dei pirati che vivevano e salpavano dal porto di Amburgo. Pirati buoni e tolleranti che, per primi in Germania, hanno impedito l’accesso al loro stadio ai pericolosi gruppi di estrema destra, purtroppo diffusi in tutta Europa. Un gesto molto apprezzato, visto che negli ultimi trent’anni la media spettatori è salita dalle 1.600 presenze del 1981, alle attuali 20mila. Tutti soci che, oltre alla squadra di calcio, seguono con passione anche le altre formazioni di ciclismo, rugby femminile, bocce, scacchi, triathlon e pallamano della Polisportiva St Pauli. Sportività di un popolo da stadio rarissimo che fa registrare il “tutto esaurito” di abbonati a ogni inizio stagione, a prescindere dalla categoria in cui giocherà la squadra. E il piccolo catino di ghiaccio bollente che è il Millerntor Stadium (23mila posti) nei prossimi due anni sarà ristrutturato esclusivamente con i fondi dell’azionariato popolare.La Curva, il cuore della tifoseria, è l’unica che si conosca nella quale vengono allestiti “sky box”, le aree destinate agli ospiti degli sponsor. Impensabile immaginare una simile collocazione in una qualsiasi Curva italiana e neppure nella Premier inglese o nella Liga spagnola. Il settore riservato alla torcida qui si chiama “tana dei pirati”: «Una struttura costruita interamente dai tifosi, che oggi sta diventando un modo di fare marketing non convenzionale da parte degli sponsor stessi», dice Marcel Vulpis di SportEconomy. Lo sponsor infatti è ben accetto, ma a patto che sia equo, vantaggioso e se possibile solidale. Per questo migliaia di soci hanno aderito alla petizione dei “romantico-sociali” che hanno dato vita alla campagna «no alla commercializzazione sfrenata», con tanto di manifesti di protesta. Al bando dunque quelle aziende, interessate a mettere il loro nome al fianco del St Pauli, se sono ditte che finanziano guerre, se hanno sfondo razzista o sessista. «Lo spettacolo è solo in campo», dicono i tifosi. E anche l’economia del club, al di là delle finanze necessarie per sostenere la stagione calcistica, è refrattaria a ogni forma di pubblicità scorretta. Il solo padrone del St Pauli è il suo pubblico sovrano. Un pubblico che vuole vivere l’evento sportivo come un’appendice serena e organizzata della vita sociale. Per questo mamme e papà tifosi dei “marroni” (il colore della maglia del Sankt Pauli) hanno fatto in modo che nascesse il primo asilo nido da stadio. Una nursery regolare che ha sede in un settore della tribuna centrale. Un altro primato che ha allargato il consenso nei confronti del club le cui maglie sono state premiate come le più belle della Bundesliga e per questo anche le più ricercate nei 100 store presenti sul territorio tedesco. La squadra affonda in B, ma il brand vola e viene distribuito in Australia, Spagna, Grecia e in Italia all’aeroporto di Torino, a quello di Venezia, in piazza Duomo a Milano e in due negozi di Roma. Se questi sono i pirati del calcio, allora viva la pirateria.
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