domenica 17 aprile 2016
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«Unitas victoria est». È il motto con il quale si sono affacciati nel panorama calcistico calabrese soltanto qualche mese fa. Alla vittoria si arriva solo con l’unità. E vittoria è stata. L’Asd Saint Michel di Gioia Tauro stravince il campionato di Terza categoria (girone H della provincia di Reggio Calabria) e festeggia così al debutto una promozione che sembra davvero benedetta dal cielo. Già, perché questa non è una squadra qualunque. Ma una società che ogni giorno scende in campo per una partita più importante: trasmettere ai ragazzi la certezza che la fede è più forte di tutte le mafie. Il regista di questo miracolo umano e sportivo è un sacerdote 28enne che non teme minacce o intimidazioni, uno che già nel nome esprime perfetta letizia: don Gaudioso (Mercuri). Stanco di vedere i ragazzi ai bordi delle strade, preda della criminalità e rassegnati per la disoccupazione, ha deciso che era tempo di rompere gli indugi: «Ho scelto di creare la squadra e diventarne il presidente - ha spiegato sin da subito - perché credo in un mondo migliore per i giovani, ma soprattutto perché voglio mettermi accanto a loro, non solo nel campo di gioco, ma nella vita, perché oggi di parole se ne sentono tante, ma poi ciò che manca è il metterci la faccia, scendere nel campo della vita per educare e sostenere, a volte rimanendo imbrattati dal fango della diffidenza, dello scoraggiamento, ma credendo fermamente nell’acqua della speranza che purifica, attraverso il bene che si fa e l’aiuto che si dà». 

La formazione dell’Asd Saint Michel di Gioia Tauro: al centro in piedi il presidente e fondatore del club don Gaudioso Mercuri Il calcio è parso al sacerdote un mezzo meraviglioso per vincere un altro campionato, quello della legalità e delle regole. Ben consapevole che i veri avversari da battere sono autentici squadroni della morte: «Da tempo il nostro territorio è afflitto da vari mali, dalla ’ndrangheta alla corruzione - ribadisce don Gaudioso Mercuri con l’amarezza di chi da queste parti è nato e cresciuto - Ma i giovani della Piana di Gioia Tauro hanno solo bisogno di qualcuno che creda in loro. Gli ho assicurato che possiamo farcela: dobbiamo esser pronti a fronteggiare le intimidazioni, non a caso ho deciso che il nome della squadra e il logo del club facciano riferimento a san Michele Arcangelo: è il potente soldato di Dio che si batte contro il male e lo sconfigge. Un simbolo del bene che alla fine trionfa sempre. Per noi ha un valore ancora più grande perché la mafia purtroppo ha usato spesso questo santo impropriamente». schema400_50728244.jpgGli "schemi" della squadraL’organigramma della società non prevede amministratori delegati o direttori sportivi, ma solo volontari: due psicologhe dello sport, un’educatrice, un gruppo di medici, tre allenatori. Ma il tecnico ideale per la panchina, non è un mistero, è Cristo, perché per riprendere la metafora di papa Francesco cara a don Gaudioso: 'Gesù ci chiede di giocare nella sua squadra'. Pochi dubbi anche sul modulo che prevede un “tiki-taka” sui generis: educazione, legalità, integrazione e rispetto, che abbiano come fine primo ed ultimo l’evangelizzazione. È l’obiettivo che vale più di qualsiasi Champions: «Da direttore del Centro diocesano vocazioni di Oppido Mamertina-Palmi chiarisce il sacerdote calabrese - conosco da vicino i problemi e le potenzialità dei ragazzi. E credo che il riscatto di questa terra passi dal Vangelo: attraverso il calcio voglio farlo conoscere a tutti, anche ai lontani dalla Chiesa. In campo si arriva solo dopo un cammino di fede: c’è una messa mensile per i nostri giocatori che oltre agli allenamenti sportivi seguono incontri e catechesi. Prima di ogni partita poi recitiamo insieme l’Ave Maria».  È il segreto di uno spogliatoio compatto che spiega l’autentica cavalcata in campionato. Ma in bacheca è finito anche un altro trofeo di cui don Mercuri è fiero: «Abbiamo vinto pure la Coppa Disciplina, non era mai successo per la piana di Gioia Tauro. La nostra iscrizione alla Terza categoria voleva dare proprio un segnale forte a questo campionato che da sempre è il regno del malcostume. Gli arbitri hanno paura ad arbitrare certe partite. Ho notato invece con soddisfazione che quando giocavamo noi erano più tranquilli. Abbiamo convinto tanti ragazzi che avevano abbandonato il calcio che invece si può fare sport in modo leale e pulito. E abbiamo anche proposto alla Figc una serie di iniziative contro la blasfemia in campo». Ma si continua a guardare avanti: «Oltre alla crescita spirituale il nostro progetto vuol creare una cooperativa che dia ai giovani anche un lavoro e combattere il disagio e la disoccupazione che in alcune zone raggiunge anche il 90%. Puntiamo inoltre sulla cultura con incontri mirati per incidere nel cuore della gente e su percorsi di recupero per i ragazzi che provengono da contesti difficili». Adesso però è il tempo di festeggiare: «È la vittoria di tutti, giocatori e dirigenti. Poi si può vincere o perdere ciò che conta è rafforzare la nostra fede senza la quale la nostra testimonianza sarebbe vuota. Partendo dal calcio, proponendo onestà, lealtà e verità, abbiamo prodotto la scintilla di un cambiamento. Ho visto ragazzi che hanno riscoperto il valore della squadra come una famiglia, ho visto sparire cattive abitudini, ho visto tanti cambiare vita ed essere finalmente  liberi di sperare in un futuro migliore. Ho il cuore pieno di gioia».
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