martedì 14 novembre 2017
Il due volte campione del mondo, oggi sindacalista dei corridori, denuncia: «Serve una riforma del codice della strada. Così i ciclisti non si possono allenare. E le piste ciclabili sono pericolose»
Gianni Bugno: «Troppi rischi sulle strade per chi va in bici»
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Basta con il ciclismo, ma non con i ciclisti, perché di questi suoi ex colleghi continua ad occuparsi, con la stessa passione, con la stessa energia e determinazione, con l’indiscussa competenza. Dei corridori professionisti è stato il numero uno in bici, campione del mondo nel 1991 e nel 1992, ed ora lo è del sindacato Cpa, l’associazione che raggruppa tutti i corridori professionisti del mondo, ma in bicicletta non ci va più. Da tre anni, ormai. Gianni Bugno entra a gamba tesa sul problema della sicurezza per i ciclisti sulle strade.

La morte di Michele Scarponi e non solo, lo hanno segnato in maniera indelebile, e ora per lui è arrivato il momento di dire basta. E di gridarlo a chiare lettere. E lo fa dicendo no alle piste ciclabili. «Le piste ciclabili sulla carta vanno bene per le famiglie, per chi va a fare un giretto con i propri bimbi. Ma solo sulla carta, perché avrebbero bisogno di manutenzione, controllo e pulizia. E della stessa educazione che chiediamo a gran voce agli automobilisti. Se una pista è ciclabile, deve essere riservata a chi va in bicicletta, non a chi passeggia con il passeggino o addirittura ci porta il cane a scorrazzare. Invece sulle piste ciclabili trovi di tutto e di più e a quel punto anche la bicicletta diventa un pericolo».

Ma per i professionisti secondo Bugno c’è un altro problema: «Un corridore che pratica il ciclismo agonistico ha bisogno di allenarsi sulla strada. Il ciclista deve pedalare ad una certa velocità, anche in mezzo ad un gruppetto e deve poter svolgere lavori specifici che ha in programma. Farlo pedalare su una pista ciclabile sarebbe impossibile ed io, come presidente dei ciclisti professionisti, devo guardare la realtà con gli occhi dei corridori. Intendiamoci, non chiediamo soltanto, ma come abbiamo sempre fatto siamo disposti a metterci in gioco e a fare la nostra parte. Noi vogliamo che la bicicletta venga equiparata ad un motorino. Tra un motorino e un ciclista non c’è nessuna differenza, perché vanno realmente alla stessa velocità, il problema è equipararli. Se servono targa e assicurazione apposite, noi siamo pronti. E vi invito a riflettere: quante volte sulle nostre strade di periferia, nella Brianza o nella bassa Padania ci imbattiamo in mezzi agricoli che occupano tutta la carreggiata? E lo sapete quale velocità massima raggiungono? I 40 orari, la stessa di un gruppetto di ciclisti. Chi va in bici sa che è sempre meglio procedere in fila indiana, ma un gruppetto non è un intralcio insormontabile per gli automobilisti. Stai dietro ad uno spargi letame? Stai dietro anche a dei ciclisti».

Nessun ripensamento sul risalire in sella:«Mi sono stancato di litigare con gli automobilisti è troppo pericoloso: se sono da solo, ho paura di trovare qualcuno che mi stringe, se sono al sicuro di un gruppo, c’è sempre una macchina che arriva dietro e suona. E se un genitore mi dice che non fa praticare ciclismo a suo figlio per non farlo pedalare sulla strada, come posso dargli torto?». Eppure c’era una proposta: «La cosiddetta Salvaciclisti - di modifica del Codice della Strada, ma nell’estate scorsa è sparita dal provvedimento esaminato dal Parlamento. Se adottata, avrebbe permesso all’Italia di adeguarsi ad altri Paesi come Francia e Spagna. Gli amici dell’Accpi - l’Associazione dei ciclisti professionisti italiani, presieduta da Christian Salvato - stanno portando avanti la battaglia per il rispetto della distanza minima di 1,5 metri tra auto e bici in fase di sorpasso, ma la verità è che ci vorrebbe una presa di coscienza collettiva e una nuova educazione da parte di tutti coloro che occupano la sede stradale. Automobilisti, motociclisti, ciclisti, pedoni: ognuno dovrebbe riflettere sul proprio comportamento e rispettare tutti gli altri, invece si finisce per pensare solo a se stessi».

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