lunedì 12 ottobre 2015
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Con l’imminente apertura della Fiera del libro di Francoforte (14-18 ottobre) – che raduna espositori provenienti da 113 Paesi – inizia la liturgia laica degli incontri e degli scambi internazionali per quella che una volta si chiamava univocamente “editoria” e che oggi, nel crescente meticciato dei contenuti e delle forme comunicative, è di fatto diventata un conglomerato di “editorie”. Naturalmente, nell’uno o nell’altro settore (dal cartaceo al digitale, dai social alle banche dati ai servizi), a dominare la scena sono sempre gli stessi, i grandi gruppi, cinque dei quali (Pearson, Thomson Reuters, Relx, ossia Reed Elsevier, Wolters Kluwer, Penguin Random House) viaggiano addirittura tra i 4 e i 7 miliardi di dollari a testa.Ma, bisogna subito aggiungere, la Buchmesse è comunque talmente vasta e articolata che ci sono spazi di manovra per tutti, nel senso che essa offre interessanti opportunità a tutti quegli editori, grandi, medi o piccoli, che sanno che cosa cercare e che hanno qualche buona idea da offrire. Del resto, anche solo a guardare la mappa della Fiera e a sfogliare il calendario degli appuntamenti, ci si rende subito conto che ogni anno non solo i padiglioni cambiano fisionomia (per non parlare all’esterno di palazzi, parcheggi, strade che l’anno prima non c’erano), ma che l’organizzazione cerca in ogni modo, attraverso una fittissima serie di iniziative, di favorire un contatto e uno scambio proficuo tra gli operatori del settore.Per la prima volta, quest’anno l’Italia è sistemata alla Halle 5.0 e qui troviamo – ad eccezione della Mondadori, che ha preferito essere nel Foyer della Halle 4.0 – più o meno lo stesso numero di stand individuali, che raggruppano spesso numerose case editrici o sigle editoriali, oltre allo stand collettivo dell’Associazione Italiana Editori (C 36), che da sempre è il comodo e poco costoso punto d’appoggio per molti editori, non solo piccoli. A parte le polemiche rientrate dello scorso anno per i possibili effetti negativi dello spostamento (c’è pur sempre, oltre all’Africa, la compagnia di una buona fetta d’Europa, anche se Francia e Spagna sono al piano di sopra), i 180 editori e agenti letterari italiani che figurano registrati dalla Fiera avranno certo modo di incontri e scambi fruttuosi.Nella Halle 5.0 sono presenti tra l’altro più di 100 editori di vari Paesi che hanno dichiarato di avere una produzione prevalente o comunque significativa di testi religiosi. Spiccano, tra questi, la Libreria Editrice Vaticana (che accoglie nel suo stand anche le Edizioni Musei Vaticani), il gruppo San Paolo e le Edizioni Paoline. Ma quello che conta di più è domandarsi: come ci arriva l’Italia a questo meno spasmodico, meno affollato ma pur sempre importante appuntamento di Francoforte? È ovvio che, in un tempo di radicali cambiamenti, permanenti transizioni e obbligate navigazioni a vista, l’editoria italiana, meno corazzata di altre editorie, faccia più fatica a risalire la china. Non avrebbe niente da invidiare ad altri quanto a intuito e capacità operativa; sarebbe agile come una gazzella se non fosse costretta per tanti motivi a procedere con il passo della tartaruga. L’impressione, tuttavia, è che oggi ci sia una tale esigenza e voglia di rinnovamento, a livello di gruppi editoriali ma anche di singole case editrici, che questo 2015 potrebbe essere davvero l’anno della svolta. Come già si notava su queste pagine lo scorso 24 gennaio con riferimento al caso Mondadori-Rcs, sono tali e tanti i movimenti in corso quanto a nuovi assetti e ristrutturazioni in ambito editoriale e distributivo (acquisizioni, fusioni, accorpamenti, cambio di dirigenti, centralizzazione di magazzini, ripensamenti organizzativi di canali, reti di vendita, librerie...) che sembra di assistere a un decisivo cambio di marcia, nel pur costante trasloco, sia mentale che operativo, di questi ultimi anni. Va da sé che anche per gli editori italiani, oltreché a vendere diritti all’estero, la priorità resta quella di acquistare titoli validi e adatti per il mercato italiano. Possibilmente senza spendere troppo e magari aggiudicandosi anche qualche romanzo o saggio trascurato, che si pensa possa avere le carte in regola per diventare un buon successo in Italia. Le agende fitte di appuntamenti – che fanno sempre correre come disperati, perché a Francoforte gli orari saltano facilmente e si è perennemente in ritardo – attestano quanto lavoro ci sia dietro ad ogni risultato. Ma non c’è soltanto la cessione o l’acquisizione di diritti. Alla Fiera c’è anche tutto il resto che si muove e di cui occorre tener conto. Il via vai affannoso degli operatori professionali sembra diventare di anno in anno una sorta di metafora del crescente nomadismo editoriale e della rapidità con cui si devono affrontare le sfide e le occasioni positive che vengono dallo sviluppo delle tecnologie e dei mass-media, ma anche i problemi e le contromisure connesse ai mutati comportamenti d’acquisto, al calo delle vendite, ai mancati o ritardati pagamenti, eccetera.In genere, però, si torna da Francoforte con l’idea che qualcosa di buono si è combinato. E questa è certamente una spinta per ricominciare e guardare avanti.
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