venerdì 1 aprile 2016
Bruzzone, gamba e zaino in spalla
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Durante la scalata di una vetta ci sono numerose prove da affrontare: il corpo che lentamente si deve abituare a delle altitudini da boing 747, la respirazione parte fondamentale di un’arrampicata in quanto l’ossigeno ti permette di trasformare le riserve energetiche immagazzinate col cibo in energia immediatamente disponibile ma soprattutto lo spirito e la forza d’animo che genera la scintilla necessaria per percorrere un così difficile cammino.  Gli zaini dei trekker professionisti sono spesso carichi di peso, in quanto devono contenere l’essenziale per la sopravvivenza e la buona riuscita della spedizione. «Nel mio zaino oltre alle consuete vettovaglie, sacco a pelo e vestiti c’è anche la mia gamba di riserva, la mia ruota di scorta in caso di emergenza». La storia del 37enne Roberto Bruzzone, del camminatore con la gamba in spalla di Ovada, nasce da molto lontano, nasce da delle circostanze per nulla scontate che hanno fatto cambiare drasticamente la vita del giovane trekker. «Era il 2000, ed ero in netta ripresa dopo la prematura perdita di mio padre; il pugilato m’impegnava gran parte della giornata, avevo un lavoro che mi piaceva moltissimo e mi ero comprato anche la mia moto, ed è proprio la moto ad avermi fatto diventare “Roby da Matti”. Un grave incidente nell’aprile del 2000 - racconta Roberto Bruzzone - mi ha fatto passare dall’euforia e dalla ripresa totale del mio problema al delirio d’impotenza».  Quattro anni di operazioni, terapie, ricadute, per quella gamba destra mai guarita in todo, un piede in completo equinismo (integri collo del piede e tallone) e una deambulazione insostenibile a livello motorio «Da pugile mi hanno insegnato a capire la reale potenzialità di se stessi, ed io sapevo benissimo cosa volevo fare nella vita, bastava solo volerlo. Dopo la prima operazione capii che c’era qualcosa di definitivo nel mio corpo e pensai che la mia vita motoria fosse terminata nell’aprile del 2000. In quei quattro anni, non c’era nessun altro pensiero che quello rivolto alla mia condizione d’impotenza, mi stavo quasi rassegnando all’idea di rimanere su una sedia a rotelle a vita, ma io sono cocciuto e non volevo rimanere fermo, dovevo risolvere la situazione. Quando i medici mi dissero che dovevo salvare il salvabile, che comunque avevo la gamba, gli risposi che proprio perché l’avevo io volevo decidere le sorti della mia vita e di quella gamba: io non volevo camminare, in quel momento io volevo ricominciare a correre e quindi gli dis- si di tagliarla». Lo sport, unito alla forza di volontà, come sappiamo crea un’endorfina naturale che riesce a far superare qualsiasi momento e ostacolo ed è così che Roberto inizia la sua nuova sfida; inizialmente insieme a Roberto La Barbera, atleta disabile, medaglia alle paraolimpiadi, e grazie al supporto tecnico della Otto Bock di Bologna, azienda leader nella costruzioni di protesi, decide di provare l’atletica leggera ma nonostante i traguardi raggiunti (60 metri piani in 8 secondi) voleva spingersi ancora oltre. Dopo che un giorno accolse l’invito dell’amico e preparatore atletico Alessio Alfier a cimentarsi con il trekking Bruzzone non si è più fermato. Gran Paradiso, cammino di Santiago di Compostela, Kilimanjaro, traversata dell’Islanda, Aconcagua, traversata della Corsica, deserto della Namibia e spedizione in Perù e Bolivia tutte fatte rigorosamente con la gam- ba in spalla - «la natura è un qualcosa di unico e viverla nel modo come la vivo io ti dona una forza incredibile e sono certo che la parola forza è sinonimo di avventura, perché la stessa avventura vuol dire mettersi alla prova. Il mio percorso di disabile mi ha portato a scalare delle vette incredibili, ad ammirare dei paesaggi mozzafiato ma è tutto questo cammino che è stato la mia grande avventura. Prima dell’incidente - dichiara Roberto Bruzzone - non avrei mai pensato di fare il trekker professionista ma la vita ti pone di fronte a delle scelte, dei bivi ai quali non conosci la fine ma che se hai il coraggio di imboccarli non te ne pentirai mai e il caso ha voluto che proprio dopo che mi amputarono una gamba iniziai a camminare e a fare km lungo le montagne». Le imprese degli alpinisti, degli esploratori, di chi arriva su una vetta sono delle imprese storiche, come quella di Simone Moro, che è riuscito a raggiungere la vetta del Nanga Parbat (ottava cima del mondo) per la prima volta in inverno, ma farle con un handicap, con «una gamba in spalla» senza dubbio ha dei risvolti ancora più forti perché il risultato è il medesimo ma è come lo si raggiunge che è straordinario.  «Quando arrivo in cima a una vetta l’emozione è indescrivibile e 99 volte su 100 piango, un po’ per la gioia smisurata di essere riusciti ad arrivare al punto più alto e un po’ anche per la soddisfazione di averlo fatto in quel modo che comunque è diverso da una traversata o arrampicata di un normodotato; per di più io e miei compagni facciamo queste spedizioni senza portatori quindi non so se mi da più soddisfazione di esserci arrivato con le mie forze e problemi - racconta Bruzzone - o quello che vediamo in cima perché si conoscono dei paesaggi veramente mozzafiato che ripagano di tutto quello che hai sofferto in precedenza. L’emozione ovviamente è anche un po’ combattuta poiché una volta arrivato in cima sei a metà del lavoro, quindi ci sono diverse sensazioni che contrastano tra di loro ma è una situazione psicologica, per quanto mi riguarda, molto interessante. Tutte le imprese che ho realizzato sono dei tasselli importantissimi per la mia crescita, anche le situazioni più piccole mi rendono felice ed euforico perché ricordo perfettamente da dove sono partito, dai miei problemi motori, dal fatto che sono fortunato a poter di nuovo camminare; quindi anche 100 km rispetto ai 3mila sono per me un’impresa grandissima ma la cosa che mi fa piacere di più è che traspare anche dalle persone che mi seguono, in questo modo il messaggio sociale che stiamo cercando di far passare con i nostri viaggi (e con la nostra Onlus Naturabile) arriva in modo istantaneo. La maggior parte poi dei ringraziamenti li ricevo da normodati quindi siamo arrivati al punto di svolta: ero partito per una sfida personale, per poi arrivare a lanciare dei messaggi ai disabili ma quello che è venuto fuori, per assurdo, è che l’85% di chi mi contatta e da quello che facciamo hanno preso forza, sono delle persone normodotate con nessun problema fisico e questa è una realtà che fa riflettere, perché mi trovo a fare da motivatore, io che in qualche modo dovrei essere motivato».  Roberto Bruzzone, con quel sorriso sincero, con quei capelli lunghi da indiano d’America, con quegli occhi carichi di speranza e forza sta dimostrando con il trekking e le sue avventure (www.robydamatti.it) che si possono fare cose eccezionali anche con una disabilità importante: «Tanti mi dipingono come un supereroe ma non è così, io sono qui per dire al mondo che se ce la faccio io ce la può fare chiunque, e nello stesso tempo a chi non gliene frega niente di andare in cima ad una montagna per sentirsi realizzato perché non è importante arrivare a 6mila metri, l’importante è capire che con l’impegno e con la testa si può arrivare ovunque; questo è quello che spero sempre di continuare a trasmettere con i miei viaggi, perché io mi potrei anche fermare, dal 2006 che ho iniziato a fare trekking avrò percorso a piedi più di 40mila km ma la risposta che ho da chi mi segue mi da una forza incredibile.  Tutte le mattine che mi tiro fuori dal sacco a pelo o dentro una tenda chissà dove con dei dolori lancinanti, io penso sempre a chi non può camminare mai più, chi non ne ha più la possibilità e chi a casa conta sulla nostra riuscita per farsi coraggio e questo automaticamente mi da una forza incredibile per portare avanti e finire tutti i miei viaggi».
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