lunedì 9 dicembre 2013
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Sarà la volta buona? A giudicare dalla conferenza stampa convocata da qui a una settimana sembrerebbe proprio di sì «Verso la “Grande Brera”», annuncia l’invito per l’appuntamento milanese del 16 dicembre. Partono i lavori nella sede storica, a due passi da piazza della Scala, e aprono i cantieri del vicino Palazzo Citterio, oltre che della più decentrata caserma di via Mascheroni, dove dovrebbe trasferirsi parte delle attività didattiche. Quella di Brera, infatti, è una realtà unica al mondo, che finora ha riunito sotto lo stesso tetto Accademia e Pinacoteca, Biblioteca nazionale e Osservatorio astronomico, Orto botanico e Istituto lombardo di Scienze e lettere. «Brera è un marchio conosciuto nel mondo  – rilancia l’editorialista del «Sole 24 Ore » Salvatore Carrubba, fino a poco fa presidente dell’Accademia –, un’eccellenza di cui tutta la città dovrebbe farsi carico».La storia degli ultimi quarant’anni descrive purtroppo una situazione molto diversa. «Il recupero di Palazzo Citterio è un passo comunque importante – sottolinea Stefano Boeri, architetto di fama internazionale e già assessore alla Cultura del Comune di Milano –, un primo momento operativo dopo una stasi durata decenni. Quello che manca è un progetto condiviso, che si inserisca in un programma articolato su più livelli: urbanistico, finanziario, politico. È la sfida più ambiziosa, per la quale ancora non sussistono le condizioni».Un anno fa, però, la prospettiva appariva molto più incoraggiante. Il Decreto Sviluppo del Governo Monti – convertito in legge il 2 agosto 2012 – prevedeva la nascita della «Fondazione Grande Brera», organismo di diritto privato destinato a integrarsi nel quadro di Expo 2015. Avrebbero dovuto farne parte gli enti territoriali, primi fra tutti il Comune e la Regione Lombardia, e istituzioni private come la Camera di Commercio e la Fondazione Cariplo. Il presidente di quest’ultima, Giuseppe Guzzetti, così sintetizza: «Ci eravamo dimostrati disponibili a valutare il sostegno a questa iniziativa a suo tempo, quando si era parlato del progetto che poi si è arenato. Non abbiamo più avuto aggiornamenti formali. Il nostro obiettivo è fare della cultura e dei beni culturali una leva per lo sviluppo economico del territorio, un volano per lo sviluppo e, insieme, un ambito in cui creare posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Se il progetto Brera conferma questi obiettivi, siamo come sempre disponibili a parlarne».Sulle finalità nessuno ha di che obiettare. A suscitare forti contestazioni è stata, fin dall’inizio, la formula della fondazione. Lo testimoniano le oltre duecento adesioni raccolte dalla lettera di protesta stilata nel settembre 2012 da Vittorio Emiliani, Maria Pia Guermandi e Tomaso Montanari. Giù le mani dalla cultura «bene comune», intimavano i firmatari. Il coinvolgimento dei privati comporterebbe sicuramente una svendita e un avvilimento del patrimonio pubblico. «Posizione rispettabilissima, ma anche molto antiquata – commenta il critico Philippe Daverio –. Le fondazioni museali esistono in tutto il mondo, con risultati eccellenti. In Italia non si è ancora capito che il contrario di “statale” non è il privato, ma la società. Ed è con la società civile che un’istituzione come Brera dovrebbe finalmente aprire un tavolo per condividere energie e risorse. Non solo di tipo economico, aggiungo. Penso all’apporto di creatività che può essere dato dal volontariato o dalle cooperative che già in molti casi interagiscono con il personale dei musei. L’impressione, invece, è che il leviatano pubblico sia ormai talmente anchilosato da scricchiolare paurosamente al minimo tentativo di cambiamento».Quello del personale è uno dei punti dolenti: non sarà che con la fondazione i dipendenti pubblici perdono il posto? «L’esperienza torinese della Venaria Reale dimostra che preoccupazioni del genere sono del tutto infondate – replica Lorenzo Ornaghi, che in qualità di ministro per i Beni e le attività culturali del Governo Monti si è molto speso per la nascita della Grande Brera –. Anche a Torino c’erano state molte resistenze, ma oggi il consorzio della Venaria è diventato un modello da imitare e, se possibile, migliorare. L’importante, in questa fase, è ricordare che la legge sulla Fondazione Grande Brera non è stata affatto abrogata, come qualcuno tende a far credere. Se non ha ancora trovato attuazione, è per l’assenza di iniziativa da parte degli enti territoriali, ai quali è demandato il compito di regia e coordinamento. L’idea, oggi più attuale che mai, è di fare della Grande Brera un polo di attrazione per l’intera area metropolitana della cosiddetta Grande Milano. E in questa prospettiva era stata avviata la ricerca della copertura finanziaria».La conclusione, sia pure provvisoria, la suggerisce Salvatore Carrubba: «Questo è un progetto da circa cento milioni di euro – ricorda –. Molti? Sì, ma costruire tre chilometri di autostrada non costa di meno. Probabilmente c’è un percorso comune da ricostruire, ma sul nodo della Fondazione occorre essere realistici: un patrimonio come Brera non può essere gestito senza risorse economiche. E i soldi, ora come ora, non può certo metterli lo Stato. In una situazione del genere escludere i privati per principio è, semplicemente, una follia».
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