martedì 10 maggio 2016
Fanfani missione Brasile. La civiltà è latina
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Di quel lontano viaggio in Brasile poco si sa; anzi, anche alcune recenti biografie addirittura lo ignorano, quasi fosse stata una vacanza. Al contrario fu una missione politico-culturale non senza rilievo, di cui Amintore Fanfani stesso avrebbe parlato a lungo dopo esser tornato a Milano nell’agosto 1938. A saperlo bene era il suo confidente e amico di una vita, Tommaso Bozza, un intellettuale di robusto spessore che con Fanfani aveva condiviso gli anni di studio alla Cattolica, e di cui oggi sono stati appena raccolti gli Scritti. 1932-1989 (a cura di Carlo Bozza, con presentazione di monsignor Elio Bromuri, 2 volumi, Sei). Particolarmente inquieto e ricco di novità il momento politico che allora viveva il Brasile, all’indomani dei torbidi interni che avevano portato il presidente uscente Getùlio Vargas alla fine del ’37 a imporsi con un nuovo mandato e una nuova costituzione: lo «Stato nuovo», su modello corporativo fascista. Un modello che evidentemente preludeva a nuovi contatti, nuove relazioni politiche e culturali con l’Italia. A fine maggio 1938 (poco dopo un tentativo golpista sventato), una lettera del rettore dell’università di Porto Alegre al locale console italiano, Magno Santovincenzo, ufficializzava l’invito del giovane professore di Storia economica, Amintore Fanfani. Questi, appena giunto oltreoceano, ne dava subito ampio ragguaglio appunto a Tommaso Bozza con un aerogramma dell’11 giugno: descriveva la traversata atlantica («Bellissima, con tutte le stelle dell’arte lirica italiana e francese, che andavano a deliziare le orecchie degli spettatori americani»), le soste (Algeri, Gibilterra, Pernambuco, Bahia, Rio) e finalmente l’inaugurazione del corso avvenuta il 2 giugno: «Parole del Rettore, saluto di un professore a nome dei colleghi, e mia esposizione del programma. Presente folla, governanti, studenti, professori. Il discorso del professore è stato un inno altissimo all’Italia, a Roma, e alla nostra Università, qui conosciutissima ed apprezzatissima, come il prototipo delle Università europee».  Fanfani diceva delle grandi soddisfazioni subito ottenute (due lezioni settimanali, una delle quali la sera alle 20 «per dar modo alla cittadinanza di intervenire», e dunque «folla attenta e cordialissima» che aveva voluto «che parlassi italiano che qua tutti intendono»), lasciando intravedere il profilo d’un contrastato confronto culturale: «Se durerà così, questo corso sarà veramente una grande cosa, non per me, ma per l’amicizia tra l’Italia e il Brasile. Tanto più che tutti fanno il confronto con i cor- si precedenti dei francesi, a tutto vantaggio dell’Italia». Questo dunque il risvolto politico sotteso all’invito di Fanfani in Brasile, che succedeva ad altri professori chiamati l’anno prima ma, data anche la specificità delle discipline insegnate (matematica e veterinaria), non di immediata soddisfazione politico- diplomatica. Lui stesso non ne aveva fatto mistero. Rientrato in Italia, nel marzo ’39 aveva scritto una serie di articoli sul quotidiano cattolico milanese L’Italia e su riviste dell’Università Cattolica (raccolti e pubblicati nel 2009 a cura dell’Istituto italo- latinoamericano). Articoli da battaglia. Ad esempio, quello del 21 marzo 1939 conteneva una dura filippica contro la pretesa statunitense di far rientrare il Brasile nella propria orbita economica e geopolitica e «garantirsi l’amicizia delle repubbliche latine, spaventandole con lo spauracchio di eventuali prossime rivendicazioni degli Stati totalitari». Pretese infondate ma che circolavano diffusamente, come poteva testimoniare (parlando di sé in terza persona) «chi bazzicò il litorale atlantico del Sudamerica l’estate scorsa».  L’imposizione di un monopolio commerciale nordamericano al Brasile, sottraendolo alla diffusa presenza economica tedesca, serviva oltretutto a reciderne le radici culturali europee, dove «la Francia ha sino ad oggi esercitato una 'dolce dittatura sulla cultura brasiliana'». Era piuttosto l’Italia a dover rivendicare la robustezza della propria presenza e l’apporto di civiltà arrecato al Brasile. Un altro articolo del 24 marzo, dedicato appunto a «Il Brasile e l’Italia», offriva dati sulla presenza italiana, socialmente povera eppur così diffusa e benvoluta che «ha permesso che l’amicizia politica si affermasse in modo molto simpatico al tempo delle sanzioni». Occorreva dunque esercitare una forte azione politica a sostegno della cultura italiana, per contrastare quella americana e francese. Senza dimenticare «l’azione religiosa presso l’emigrato». Mettendo insieme riflessioni e ricordi, Fanfani giungeva quindi – con uno specifico, lungo saggio dedicato allo «Sviluppo del Brasile nell’era coloniale », edito sulla Rivista internazionale di scienze sociali del settembre 1939 – a descrivere ed esaltare l’opera della Compagnia di Gesù in ogni aspetto di radicata presenza in quei territori: dalla difesa degli indios dalle violenze dei conquistadoresprima e poi dalle bande di mercanti anglo- olandesi di schiavi; dall’insegnamento diffuso ad ogni livello sociale, alle sperimentazioni tecnicoscientifiche, all’organizzazione «comunista » (ma questo Fanfani non poteva dirlo) del cosiddetto «Stato del Paraguay», in realtà le reducciones di indios che si autoamministravano su basi elettive, con norme di vita di comunismo evangelico. Fanfani esaltava la radice europea e cattolica del Brasile, impiantata robustamente dai gesuiti, per sottrarla alla violenza del capitale angloamericano come alla presenza radical-socialista francese. E i risultati almeno sul momento sembrarono esaltanti. A scriverlo in inediti rapporti (noti ora grazie a Federica Onelli dell’Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Esteri) era il console italiano di Porto Alegre, Santovincenzo. Nell’ultimo, redatto alla fine delle lezioni di Fanfani e inviato il 24 agosto 1938 , si legge che «il prof. Fanfani nelle sue conferenze serrate, chiarificatrici, non prive di punte polemiche, ha presentato agli astanti una realtà economica e corporativa fascista quale essa è: originaria, tipicamente italiana, unitaria, scaturita dal genio di Mussolini e destinata a servire da modello nell’organizzazione della società moderna; formula definitiva verso la quale si sta indirizzando l’immane travaglio di questa Europa inquieta».  Santovincenzo confermava il gradimento ottenuto da Fanfani «nelle sfere universitarie e nell’alta cultura di Porto Alegre […]. Il debutto dell’attività culturale superiore italiana nel Rio Grande del Sud non poteva essere più felice; sfatata la leggenda di un monopolio intellettuale detenuto dai francesi». Fanfani aveva anche tenuto due altre conferenze «di carattere popolare» presso la Società Dante Alighieri davanti a una «folla numerosa che dalla parola fascinatrice e forbita dell’oratore è stata idealmente trasportata nel clima arroventato dell’Italia Fascista». Data la radice culturale e accademica di Fanfani, per sfruttare questi successi (nuovi inviti, magari nuove cattedre da far ricoprire a professori italiani) il console suggeriva di rivolgersi a… padre Gemelli. Ma ben altro drammatico seguito avrebbe avuto allora corso in Europa.
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