mercoledì 22 luglio 2015
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Tecnologia in armonia con la natura: questa è forse la principale direttrice che sempre più orienterà l’architettura. In tale prospettiva si segnala l’opera del francese Vincente Callebaut, progettista che sta portando avanti il cammino intrapreso anni addietro da Emilio Ambasz nel fondere edificio e mondo vegetale nella visione di una “ecopoli” futuribile.  Uno dei suoi progetti più recenti prevede di trasformare Parigi in una specie di sconfinato giardino: agli edifici esistenti sarebbero sovrapposte leggere strutture reticolari atte a fungere da supporto per le più diverse specie arboree, tal che la città acquisirebbe da lungi il profilo del bosco. Il nome è “Paris smart city” perché nella visione del progettista non solo interagirebbero tutte le soluzioni atte a risparmiare energia, ma la gestione computerizzata consentirebbe anche di massimizzare il riciclaggio e minimizzare gli sprechi.  Può sembrare assurdo che palazzi liberty come l’hotel Guimard o l’hotel Ceramique, per non dire di monumenti vetusti quali la Conciergerie, il Collège des Quatre-Nations o il Pantheon siano coperti da folta vegetazione, ma in realtà le pareti verticali “verdi” ormai da molti anni sono in uso e ancora meglio sperimentati sono i sistemi di irrigazione computerizzati che depositano sulle radici goccia a goccia solo la quantità di acqua necessaria alla vita e allo sviluppo delle singole piante: questo sistema è stato attuato in primis nei deserti israeliani, dove l’acqua è poca e molta, invece, è la necessità di alimentare coltivazioni atte a nutrire la popolazione.  Insomma, non siamo nell’ambito del futuribile ma della generalizzazione di tecnologie mature allo scopo di trasformare le città da luoghi fagocitati dalle automobili, a luoghi integrati con la campagna. Perché se un tempo vigeva l’alternativa secca: di qua la città, di là la campagna, di qua il costruito, di là la natura, e nei nuclei abitati si consumavano alimenti prodotti nei campi, l’estendersi delle aree urbane a coprire tutto il territorio, porta per conseguenza immediata la necessità di reintegrare la campagna dentro la città. Un esempio di come questo sia possibile è “Agora Garden”, torre avvolta in duplice spirale progettata da Callebaut per il centro di Taipei, la capitale di Taiwan. Ognuno dei suoi venti piani si discosta dall’altro di una rotazione di 4,5 gradi, e dando così luogo a uno spostamento di 90 gradi dalla base alla sommità. L’esostruttura lascia completamente liberi i piani, come fossero balconate aperte che ogni proprietario può organizzarsi a piacere, ma tutto l’edificio è concepito come supporto per diverse specie arboree e vegetali, tal che con i suoi orti e giardini diviene una cittadina verticale che aspira all’autosufficienza alimentare. Lo sfasamento tra i piani fa sì che su ogni livello vi siano zone sempre a cielo aperto e altre sempre coperte: nelle prime si dispongono alberi da frutto, nelle seconde orti di aromi. 

All’esterno l’edificio appare come un insieme arborescente che si inerpica su un’intelaiatura nascosta. Già alla sua base, una depressione nel terreno ospita un bosco che filtra l’aria dal traffico circostante. Il complesso dispone di sistemi di riciclaggio delle acque che promettono massima efficienza. La struttura cilindrica che impernia l’insieme convoglia la luminosità solare fin nell’interrato dove stanno piscine e accessi carrabili, inoltre contiene gli ascensori, alcuni dei quali sono destinati alle automobili: ognuno può portarsi l’auto in casa... È vero: è un progetto la cui faraonica lussuosità (ogni appartamento dispone di oltre 500 metri quadrati) forse anche riflette il crescente divario economico dei privilegiati da coloro che sono stati impoveriti dalla crisi ma, in quanto proposta architettonica, prospetta un cammino che potrebbe essere seguito anche da edifici di più diffusa accessibilità, quando si tornasse a una maggiore equità distributiva delle ricchezze. In fondo il lusso, in una società equilibrata, funge proprio da punta di diamante che aiuta il generalizzarsi di prodotti e soluzioni che al loro primo comparire sono accessibili solo a pochi.
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