venerdì 28 giugno 2013
​Ieri si è spento l’ex attaccante azzurro di Como, Fiorentina e Milan. Lascia la moglie Chantal e 4 figli, ma anche una Fondazione che opera in soccorso dei 5mila malati del Morbo di Gehrig. Gattuso: «La sua  è stata una lezione di vita per tutti e che resterà per sempre».
L'INTERVISTA «Il mio gol è per la vita» (24 maggio 2009) di Massimiliano Castellani
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Abbiamo perso anche Stefano Borognovo, morto a 49 anni per quella che lui chiamava la “stronza”: la Sla, Sclerosi laterale amiotrofica - o Morbo di Gehrig -. Il Morbo con lui ha colpito ancora il mondo del calcio: siamo a circa 50 vittime. «Il suo sesto senso gli fece capire che aveva quella malattia... La sera che vide in tv Gianluca Signorini (morto anche lui di Sla nel 2002, ndr) era rimasto talmente toccato da quell’immagine di Marassi e il pianto del capitano del Genoa che per una settimana non disse una parola...».È il ricordo di Chantal Borgonovo, la moglie di Stefano. La “capitana” della Fondazione che porta il nome di suo marito e madre courage di quattro figli: Andrea 25 anni, Alessandra (22) che in casa ha il ruolo di vice-capitano e cura le “piccole”: Benedetta (16) e Gaia (10). Ha lottato con loro e per loro, «i miei angeli», dando tutto, come quando andava in campo nel Como degli esordi, nella Fiorentina della “B2” - la coppia Borgonovo e Roby Baggio -, nel Milan e in Nazionale. Ha lottato con un coraggio da leone e con una «fede che lo ha aiutato assieme all’autocontrollo che aveva quando giocava», spiegava Chantal dando voce alle parole di Stefano che “parlava” solo con l’ausilio di un sintetizzatore. Poche parole, ma decisive, come i gol del bomber che era stato. «Meno soldi per le inchieste sul calcio e più fondi per la ricerca scientifica», sentenziava con il comunicatore oculare, con la grinta del leader. «Ci sono tanti malati (oltre 5mila in Italia quelli affetti dalla Sla) che hanno trovato in me un punto di riferimento e questo mi rende felice. Ciò che mi rattrista è che persone che avevo sentito solo la sera prima, spesso giovani, magari al mattino dopo scopri che sono morte per colpa di questa malattia...». Quella sensazione di sgradevole terrore, ieri appena saputo della sua morte, purtroppo è toccata a tutti coloro che da anni lottano contro il Morbo. La Nazionale di Prandelli non ci ha pensato un minuto ad omaggiare il «suo Stefano», mettendo il lutto al braccio nella semifinale di Confederations Cup con il Brasile. Il calcio tutto, piange l’eterno ragazzo, il piccolo eroe esemplare degli stadi. Al Franchi di Firenze per il “Borgonovo day” erano in 25mila sugli spalti, in lacrime. «Ci lascia una persona che ha regalato a tutti noi lezioni di vita da non dimenticare – dice un commosso Rino Gattuso –. I suoi insegnamenti, però, continueranno a vivere attraverso la sua Fondazione che si impegnerà ancora di più per rendere migliori le condizioni dei malati di Sla». Malati che spesso si sentono persi, abbandonati a se stessi con le proprie famiglie. «Un po’ di solitudine arriva ogni mattina... – diceva –. Quando mi sveglio ci sono quei 20 secondi in cui mi sento sospeso come nello spazio più profondo e quando atterro devo decodificare che sono paralizzato su questo letto». Nei momenti di solitudine e di maggiore sconforto, per distrarsi dal pressing asfissiante della malattia arrivavano in soccorso le partite alla tv, gli articoli da scrivere come opinionista della Gazzetta dello Sport e la visita dei “compagni di campo”. «Ho avuto la fortuna di giocare con tanti grandi campioni, ma Roby Baggio e Marco Van Basten li considero i migliori. I miei preferiti oggi? Punto tutto sui giovani». Stefano avrebbe tanto voluto veder crescere ancora i suoi figli e realizzare quel sogno ricorrente nelle lunghe notti insonni: «Mi alzo e vado nella stanza a fianco a svegliare le mie due piccole...». Peccato, tempo scaduto. Ma, magari, quel sogno un giorno riusciranno a realizzarlo quelle persone malate di Sla, per le quali Borgonovo ha lottato da campione, fino all’ultimo minuto.
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