martedì 20 dicembre 2016
Agli Stati generali della cultura il ministro Franceschini esulta per i dati. Bene anche l'Art Bonus: 100 milioni e 3 mila donatori, ma soprattutto dai singoli
Code a Milano per le mostre di Palazzo Reale

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Il motto è che la cultura e lo sviluppo economico siano correlati; il messaggio sottostante, ma non celato, è che nessuno fa niente per niente. Agli Stati generali della cultura 2016, organizzati dal Sole 24 Ore e svoltisi a Roma, al Parco della Musica, si è insistito molto sul ritorno di immagine per i privati che investono in cultura e anche sull’ipotesi di allagare il loro campo d’azione. Da una docile idea di una «complementarità dei contributi» (pubblico e privato insieme, in equilibrio), secondo il presidente del gruppo 24 Ore Giorgio Fossa, si è passati presto a posizioni più convinte sulla preminenza dell’intervento dei privati, come quelle dei docenti bocconiani: Guido Guerzoni, che vede il ruolo del pubblico ormai orientato alla facilitazione e alla dettatura dell’indirizzo produttivo, mentre affiderebbe al privato quello progettuale; Severino Salvemini, che invece nota come alle aziende convenga frequentare il mondo della cultura perché – essendo l’economia ormai «economia dell’intangibile» - grazie agli artisti possono cogliere lo spirito dei tempi e trovare le idee per sapere cosa vendere e come. Una volta tanto, sulla musica è stata posta l’attenzione maggiore, soprattutto grazie all’intervento di alcuni dei sovrintendenti delle maggiori fondazioni lirico-sinfoniche nazionali, che cominciano a vivere in parte sempre maggiore grazie agli investimenti privati: l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha risorse per metà statali e per l’altra private (tra mecenati, sponsor e ricavi dalle attività concertistiche); nel caso della Scala, gli investimenti privati hanno già superato quelli pubblici («l’idea che sia lo Stato da solo a finanziare la cultura non funziona», afferma Pereira).


Grossi investitori a parte, tutto il confronto si è tenuto all’ombra dell’Art bonus, il dispositivo messo in atto nel 2014 dal MiBACT che premia i mecenati nelle attività culturali con un beneficio fiscale. Il sistema, come tutti i buoni e i voucher distintivi del governo Renzi, ha più il senso di un supporto e di una vicinanza morale che quello di una soluzione economica: «il valore dell’Art bonus è più pedagogico che fiscale – ha detto Dario Franceschini – poiché chi dona si sente partecipe di qualcosa per la comunità e in più dà l’esempio. Dei due miliardi che in tre anni abbiamo ottenuto, solo una minima parte proviene dal bonus». L'Art Bonus ha funzionato («Superata la fase sperimentale - ha detto il ministo - siamo a oltre 100 milioni e 3 mila donatori») ma fino ad adesso il 75% dei donatori sono soggetti individuali, non aziende. Questo il presidente di Astaldi lo spiega dicendo che «le donazioni si fanno sull’onda delle passioni, cosa che può fare il singolo, ma che le aziende non possono permettersi, dovendo investire con raziocinio». Franceschini ha continuato sul tema: «Per il momento l’Art bonus è a tutela, ma si pensa anche alla produzione, per esempio estendendo il vantaggio fiscale a chi vuol far crescere i giovani artisti». Più volte, da più parti, si è affacciato l’invito a puntare sui giovani e sulla formazione, peccato mancasse – per questo - l’interlocutore principale: il MIUR.

Dati confortanti arrivano però dalla richiesta di cultura. Se secondo Franceschini il Paese è ancora diviso tra "l'orgoglio per il patrimonio" e l'abitudine "a leggere, vedere film, comprare musica meno degli altri", la bilancia segna nuovi equilibri. "I numeri dei musei, ad esempio - dice - sono enormemente in crescita: +5 milioni di visitatori in due anni. Quest'anno prevediamo di chiudere a 45 milioni, per i musei statali ovviamente, partendo da 38 milioni". Dopo la riforma del sistema museale Franceschini punta ai servizi "perché chi va almuseo vuole anche una caffetteria, una libreria, insomma vuole trascorrere la giornata". La cultura come volano per il turismo. "Milano - cita Franceschini - per alcuni tipi di viaggi oggi è la prima meta in Italia, dimostrando che anche una città a così forte vocazione industriale può crescere. È accaduto anche a Torino. E sono convinto che anche Napoli, se deciderà di investire in cultura, può aspirare a diventare in tempi brevi una delle capitali del turismo mondiale".

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