domenica 11 maggio 2003
Parla l’uomo che ha creato la grande Juve
Boniperti, lo stile vince ancora
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Pubblichiamo un'intervista a Giampiero Boniperti in occasione della vincita della Joventus dello scudetto del 2003​​

«Il presidente è già nel suo ufficio», dice la portinaia. Il presidente è Giampiero Boniperti L'Onorevole Boniperti, l'inventore dello “stile Juventus”, quello stile che in molti dicono si sia estinto il giorno in cui dopo 50 anni di onorata presidenza abdicò in favore della “triade” Bettega-Giraudo-Moggi. Provocazione che lui non raccoglie, anzi con il sorriso invita a prendere esempio dal motto inciso su una piastrella di ceramica appesa alla parete, dietro alla sua scrivania. «Non parlar di me quando che tu non sai, pensa a te e poi dopo parlerai». Non vuole parlare della dirigenza juventina e la squadra non va più a seguirla allo stadio, anche perché il Delle Alpi non gli è mai piaciuto. In compenso non è più costretto ad andare via alla fine del primo tempo, causa stress. «Le partite le vedo comodamente in poltrona fino all'ultimo minuto , recupero compreso, perché ho gli abbonamenti a tutti i canali satellitari». E poi ha mille impegni, specie adesso che lo chiamano dovunque per la presentazione del libro, la sua autobiografia: “Una vita a testa alta”. Il telefono impazza e non si riesce a cominciare un discorso sullo scudetto appena vinto, che squilla ancora l'apparecchio e il presidente si rizza sulla sedia. «È Lapo! Lapo Elkann - spiega fiero - , il fratello di Jaki, l'erede dell'Avvocato... Lapo quando hai finito di leggerlo dimmi cosa ne pensi. Ciao caro, grazie tanto di avermi chiamato». Riattacca e per un attimo traspare la commozione.

Già, come si fa a non pensare che il 27° scudetto bianconero è anche il primo senza l'Avvocato?
«Mi manca. La prima volta che ho incontrato Gianni Agnelli fu quando arrivai alla Juventus, nel '46. Me lo vidi passare davanti, era giovane, ma aveva un carisma... Non pecco di presunzione se dico di essere stato uno di quelli che l'Avvocato l'hanno conosciuto più a fondo. E se lo conoscevi bene era inevitabile che gli restavi legato a vita».

Nel sabato in cui la Torino bianconera festeggia, quella granata piange da sette giorni il Toro in B... «
Adesso non stanno messi bene, ma devono acquistare potenza. Spero che tornino presto a grandi livelli, perché è un bene per tutto il calcio italiano che ci sia un grande Torino».

Però il pallone ad alti livelli si sgonfia fra mille problemi gestionali.
«Il calcio resta comunque lo sport più bello del mondo, però è vero, forse un po' di sgambetti negli ultimi tempi ce li siamo fatti da soli». Ma parliamo di cose che fanno bene al cuore e al petto tricolore di uno juventino doc. Se le dico Ferrara, cosa mi risponde? «Un grande “uomo-giocatore” Ciro, ma prima di tutto un uomo».

E il trascinatore ceko, Pavel Nedved?
«Eccezionale, ma non lo chiedete a me, andate a parlare con Zeman che l'ha portato in Italia, lui sì che può dirvi tutto».

Su Del Piero nessuno però ne sa più di lei. Nel '93, Pinturicchio è stato l'ultimo regalo che ha fatto alla Juve. Se lo aspettava che diventasse uno dei più grandi calciatori del mondo?
«No, ma non perché non credessi nelle sue grandi potenzialità. Quando vai a prendere un ragazzino, non puoi mai sapere dove potrà arrivare, l'unica cosa evidente, quando si ha la fortuna di trovare uno come Alex, è constatare che la stoffa c'è, e allora il vestito che verrà fuori sarà per forza di buona fattura».

Sul retro di copertina della sua autobiografia c'è un curioso fotomontaggio che la ritrae tra Del Piero, Baggio e Platini: sono questi, i tre calciatori ai quali si sente più vicino anche come stile?
«È soltanto una foto, perché allora ci sarebbe stato benissimo anche Charles e Sivori, o il mio grande amico Parola. I paragoni che si fanno spesso tra i giocatori di oggi e quelli del passato non mi sono mai piaciuti. Credo che ognuno abbia il suo stile, anche la mia Juve ne aveva uno diverso da questa. Anche quel bambino lì - mostra orgoglioso un'altra foto appesa alla parete che ritrae un ragazzino mentre calcia un pallone - ha il suo di stile. È mio nipote Filippo, ha 11 anni, gioca con le giovanili della Juve. È bravo, secondo me può venire fuori...».

Un altro Boniperti nella storia del calcio italiano, ancora dominata dalla sua Juve, la squadra più amata, ma anche la più odiata, specie a Milano...
«È un odio che è sempre esistito, perché Milano è più aperta rispetto a noi torinesi che manteniamo quella certa distanza che a loro può dare fastidio. E poi vincevamo allora e vinciamo adesso e questo non fa sicuramente piacere a interisti e milanisti».

La Juve che vince è una piccola vendetta contro il milanista Berlusconi che non era nelle grazie della famiglia Agnelli.
«Io non ho mai avuto problemi con Berlusconi, mi sono anche candidato con Forza Italia e con 140 mila voti sono stato eletto al Parlamento Europeo».

E con il presidente dell'Inter, Massimo Moratti?
«Ottimo rapporto. Per l'impegno economico e la passione che ci mette, Moratti meriterebbe di vincere lo scudetto e prima o poi ce la farà. Anzi glie lo auguro di cuore».

Gli interisti accusano Moratti di essere un presidente tifoso.
«Io che cosa sono allora? No scusatemi, ma dovremmo metterlo per iscritto: anche i collaboratori del presidente, devono essere assolutamente tifosi. Il presidente ha il dovere di esserlo più di tutti, ma al tempo stesso deve dare il massimo esempio di responsabilità, altrimenti non è un buon presidente... Ma adesso basta con le domande».

L'ultima presidente: dopo lo scudetto, arriva anche la Champions?
«Lo scudetto è qui e non ce lo tocca nessuno, per la Champions glielo dico mercoledì sera dopo Juve-Real».


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