martedì 10 settembre 2019
Il caso sudtirolese è studiato a livello internazionale come punto di riferimento per le aree con presenza di minoranze linguistiche ed etniche. Un modello elogiato anche dal Dalai Lama
Una delle vie del centro di Bolzano (CC0 Public Domain)

Una delle vie del centro di Bolzano (CC0 Public Domain)

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Diversità, tolleranza, costante dialogo fra culture diverse: ormai questi temi sono all’ordine del giorno da molti anni. Il più delle volte, però, sembra che l’attenzione si concentri esclusivamente sul dialogo fra la cultura europea e quella islamica, come se all’interno del Vecchio Continente i nodi della convivenza fossero già stati sciolti. La realtà è molto diversa.

Se la politica italiana stenta a rispondere a questi problemi in modo adeguato, esiste comunque una città dove si concentrano le principali iniziative sui problemi delle minoranze. Stiamo parlando di Bolzano: del resto, la stessa storia del capoluogo sudtirolese, e in particolare la sua autonomia, sembrava averlo destinato a diventare un punto di riferimento essenziale per chi si occupa di questi temi.

Oggi l’autonomia sudtirolese è un modello che viene studiato in varie parti del mondo. Non solo, ma la città è meta abituale di studiosi e attivisti politici provenienti dai luoghi più diversi, che intravedono nell’autonomia sudtirolese una risposta ai problemi di altre minoranze.

Un modello da imitare, si potrebbe dire, anche se si tratta di una ricetta politica molto particolare e perciò difficilmente esportabile. Eppure i geografi olandesi Leo Paul e Jeroen van Marle hanno sottolineato le affinità fra la minoranza sudtirolese e quella ungherese che vive in Transilvania (Romania). Paragoni analoghi sono stati fatti in Asia, soprattutto per quanto riguarda i problemi del Kashmir e di Sri Lanka. Nel 2003 il Dalai Lama ha partecipato a una conferenza sull’autonomia che si è tenuta a Bolzano. Due anni dopo è tornato nel capoluogo sudtirolese, dove ha incontrato Luis Durnwalder, allora presidente della Provincia. Il monaco ha elogiato l’autonomia locale indicandola come modello per la soluzione del problema tibetano.

Affermatasi quindi come modello di autonomia, la città si è dotata di alcune strutture atte a svolgere questo ruolo. A livello istituzionale spicca l’impegno costante della Provincia, che invita frequentemente studiosi ed esponenti di varie minoranze. A queste si aggiungono i progetti di cooperazione della Provincia stessa, fra i quali quello col Rojava, la regione settentrionale del-l’Irak impegnata in un originale progetto di autonomia.

Ma il laboratorio che più di ogni altro esprime l’interesse di Bolzano per questi temi è l’Eurac, un istituto di ricerca nato nel 1992 per promuovere quattro discipline diverse, dal management alpino ai problemi delle minoranze. La sezione Minoranze etniche e autonomie regionali si divide a sua volta in due parti: l’Istituto di studi federali comparati, diretto da Francesco Palermo, autore di libri prestigiosi sul tema, e l’Istituto per i diritti delle minoranze, gestito da Joseph Marko, che fra il 1997 e il 2002 è stato giudice della Corte costituzionale sui crimini della Bosnia Erzegovina. I due istituti operano in stretto contatto, come del resto impongono due materie che hanno molti punti in comune.

Naturalmente l’attività dell’Eurac si intreccia con quella di istituti analoghi sparsi per l’Europa, ma un legame particolarmente stretto è quello con lo European Centre for Minority Issues. L’Ecmi ha sede a Flensburg, una cittadina tedesca situata in prossimità del confine con la Danimarca. L’istituto è nato nel 1996 grazie all’impegno di numerosi organismi locali e federali.

Eurac e Ecmi sono legati da una forte affinità culturale: come la prima ha sede in nella regione che segna il contatto fra italiani e tedeschi, così il secondo si trova in quella dove convivono tedeschi e danesi. Il frutto più prezioso della loro collaborazione è lo European Yearbook of Minority Issues, una pubblicazione scientifica annuale della quale è appena uscito il sedicesimo volume. Edita in inglese da Martinus Nijhoff di Leiden (Olanda), la rivista accademica si compone di oltre 500 pagine alle quali contribuiscono i migliori specialisti mondiali. Il nuovo fascicolo, un elegante volume con copertina verde, si occupa fra l’altro di temi molto attuali, come la questione nordirlandese, quella kurda e la complessa architettura delle autonomie spagnole.

Anche il mondo associativo concorre a questo fermento. Non è infatti un caso se Bolzano ospita la sezione italiana della Gesellschaft für bedrohte Völker (Associazione per i popoli minacciati), che nel 1968 ha compiuto mezzo secolo. Impegnata nella difesa delle minoranze e dei popoli indigeni di tutto il mondo, l’associazione fondata da Tilman Zülch è riconosciuta dall’Onu e ha varie sedi in tutto il mondo: Austria, Bosnia-Erzegovina, Cile, Germania, Lussemburgo e Svizzera.

Questo veloce panorama sarebbe incompleto se non includesse Alfons Benedikter (1918-2010), uno dei principali architetti dell’autonomia sudtirolese. Uomo competente e deciso, lucido e passionale al tempo stesso, svolse un ruolo fondamentale quando la questione della minoranza germanofona fu portata all’attenzione dell’Onu. Se oggi l’autonomia sudtirolese è un modello che viene studiato in tutto il mondo, il merito è anche suo. L’eredità politica e umana che ci ha lasciato è un tesoro prezioso del quale l’Italia deve essere orgogliosa.

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