Martiri per la libertà o uccisi da un cinico calcolo politico dei loro compagni? Lo sciopero della fame in carcere che nel 1981 portò alla morte Bobby Sands e altri nove prigionieri irlandesi in poco più di tre mesi è oggetto di un dibattito dai toni sempre più accesi, che rischia di trasformarsi in un terremoto politico alla vigilia del trentesimo anniversario a causa del libro
Afterlives di Richard O’Rawe, arrivato da qualche settimana nelle librerie britanniche. L’autore, all’epoca responsabile dei comunicati inviati all’interno della prigione di Long Kesh a Belfast, fornisce prove clamorose sull’esistenza di un accordo segreto offerto dal governo britannico all’Ira che avrebbe potuto salvare la vita agli ultimi sei prigionieri in sciopero per ottenere le famose 'cinque rivendicazioni' (non indossare l’uniforme carceraria, non svolgere lavoro in carcere, poter organizzare attività ricreative, ricevere una visita, una lettera e un pacco a settimana, poter frequentare gli altri detenuti). All’inizio di luglio del 1981 Londra avrebbe accolto le prime quattro richieste e ciò sarebbe bastato a far interrompere la protesta salvando la vita a Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee e Michael Devine, che invece morirono in rapida successione tra luglio e agosto. Gerry Adams e i leader del partito – secondo quanto afferma O’Rawe – avrebbero infatti respinto l’offerta nascondendola ai compagni per sfruttare l’onda emotiva della protesta e ottenere il massimo profitto politico dalla radicalizzazione dello scontro carcerario. Il retroscena fu rivelato cinque anni fa dallo stesso O’Rawe in
Blanketmen, il suo precedente libro diventato ormai un bestseller, che ha fatto gridare allo scandalo la leadership e gran parte dei militanti del partito Sinn Féin. L’ipotesi dell’esistenza di un simile accordo segreto è stata definita un’eresia che infanga la memoria della fase più eroica della lotta per la libertà dell’Irlanda e O’Rawe è stato accusato di averne tradito gli ideali. Ma in questi anni la veridicità delle sue affermazioni è stata confermata da numerosi testimoni indipendenti e il dibattito ha trovato un punto d’approdo nel nuovo libro, che fornisce ulteriori prove e dà voce a due ex compagni di cella dell’epoca che adesso sostengono le tesi dell’autore. Soprattutto,
Afterlives riproduce l’accordo originale consegnato in carcere da un emissario del governo di Londra: a scovarlo negli archivi britannici è stato Liam Clarke del 'Sunday Times', uno dei veterani del giornalismo irlandese, appellandosi alla nuova legge sulla libertà d’informazione e la trasparenza sugli atti dello Stato. La scoperta è clamorosa anche perché dimostrerebbe che l’accordo era stato autorizzato da Margaret Thatcher in persona, smentendo dunque per la prima volta la linea d’intransigenza totale che è sempre stata riconosciuta alla Lady di ferro sulla vicenda. La Thatcher avrebbe invece cambiato posizione subito dopo la morte dei primi tre prigionieri (Bobby Sands, Francis Hughes e Raymond McCreesh), decidendosi ad attivare un canale di comunicazione segreto con Gerry Adams e a concedere buona parte delle richieste dell’Ira. «Ciò che affermo nel libro – spiega oggi O’Rawe – non ha alcun obiettivo politico e risponde soltanto a un bisogno di verità nei confronti della nostra storia. Non voglio sminuire l’eroico sacrificio dei miei compagni, che restano dei martiri, ma Adams e la dirigenza di Sinn Féin devono chiedere scusa alle famiglie degli ultimi sei prigionieri morti in quello che è stato il più grosso insabbiamento nella storia del repubblicanesimo irlandese». Ma perché l’offerta fatta dai britannici nel luglio 1981 sarebbe stata rifiutata senza neanche essere sottoposta alle famiglie dei prigionieri in sciopero? L’obiettivo, secondo O’Rawe, fu quello di completare la svolta elettorale del partito e la scansione temporale degli eventi sembra dargli ragione. Fino a quel momento, lo Sinn Féin era infatti un partito astensionista che non riconosceva l’autorità del Parlamento britannico in Irlanda. In quei mesi drammatici, al braccio di ferro nelle carceri fu affiancato uno scontro elettorale che portò Bobby Sands a una clamorosa elezione a Westminster proprio durante lo sciopero della fame, e che si protrasse anche dopo la sua morte. Padre Denis Faul, all’epoca uno dei più autorevoli cappellani del carcere di Long Kesh, ha sostenuto a lungo che lo sciopero fu prolungato apposta per far eleggere Owen Carron al seggio rimasto vacante dopo la morte di Sands. E Carron fu in effetti eletto proprio il 20 agosto, giorno in cui morì l’ultimo dei prigionieri in sciopero. Da quel momento in poi, la leadership dello Sinn Féin perfezionò la propria svolta politica affermando di voler continuare la lotta con la scheda elettorale in una mano e il mitragliatore nell’altra: era l’inizio del processo di pace, che col tempo avrebbe visto il progressivo abbandono delle armi per ottenere in cambio seggi e incarichi politici. Un obiettivo assai diverso da quello per il quale i prigionieri in sciopero della fame avevano lottato fino alla morte, anche se è scaturito proprio dal loro sacrificio. Nella prefazione al volume Ed Moloney, il più noto giornalista politico irlandese, sottolinea che se l’offerta britannica non fosse stata rifiutata, con ogni probabilità il processo di pace non sarebbe partito. «A chi afferma che il fine può aver giustificato i mezzi – aggiunge – va ricordato che sei uomini si sono lasciati morire senza sapere che avrebbero potuto continuare a vivere».