giovedì 6 aprile 2017
«Un’unica grande Trude?» Di fronte all’omologazione globale denunciata anche da Calvino, ecco un “Atlante dei luoghi insoliti e curiosi” per sorprendersi ancora
Hashima, più conosciuta come Gunkanjima (“l’isola della nave da guerra”), nel Mar della Cina

Hashima, più conosciuta come Gunkanjima (“l’isola della nave da guerra”), nel Mar della Cina

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«Se toccando terra a Trude non avessi letto il nome della città scritto a grandi lettere avrei creduto d’essere arrivato allo stesso aeroporto da cui ero partito ». Non si corre il rischio dell’esploratore delle Città invisibili di Italo Calvino girando il mondo con l’Atlante dei luoghi insoliti e curiosi proposto da Travis Elborough e Alan Horsfield (Rizzoli, pagine 224, euro 25,00): città fantasma, edifici abbandonati, regioni remote, bizzarrie architettoniche, terre sommerse, labirinti sotterranei. Il mondo vario e inusuale, non certo «ricoperto da un’unica Trude che non comincia e non finisce», dove «cambia solo il nome all’aeroporto».


Se la globalizzazione ha indubbiamente omologato molte città del mondo come denunciava lo scrittore ligure e se i moderni e innovativi processi costruttivi hanno modellato similmente tanti skyline delle metropoli “verticali”, per fortuna ci sono luoghi diversi, aree sorprendenti che si salvano dall’appiattimento e fanno la differenza. E anche se la magia di questi posti unici sembra spezzarsi quando ci appaiono sul video di un pc o di un tablet e diventano “magicamente” a portata di clic, il desiderio di conoscenza e di scoperta delle loro curiosità, della storia affascinante e a volte dura che portano con sé non si ferma.


La geografia che non dimentica. Che mostra i segni e le tracce di quello che vive. Così Elborough ci conduce – con le mappe di Horsfield (il libro è corredato inoltre da fotografie) – in luoghi fuori dal comune. Vivi o ormai abbandonati. Come Hashima, più conosciuta come Gunkanjima (“l’isola della nave da guerra”), nel Mar della Cina a nove miglia marine da Nagasaki, nella costa meridionale del Giappone. «Questo scoglio solitario e battuto dai tifoni – scrive Elborough – rimase del tutto ignorato fino agli anni Ottanta del XIX secolo, quando fu scoperto un giacimento di carbone al di sotto del suo fondale marino. A quel punto il gigante industriale Mitsubishi iniziò a sfruttarne le riserve.


Da principio i minatori venivano portati sull’isola a bordo di un traghetto, ma presto la società costruì delle case direttamente in loco. Nel 1916 fu innalzato il primo isolato di palazzi in cemento multipiano, e la sua superficie di 6,5 ettari costantemente battuta dalla pioggia e dal vento si apprestò a diventare uno dei luoghi più densamente popolati del pianeta: al culmine dell’attività, l’isola ospitava più di cinquemila persone. La miniera fu chiusa nel 1974 e i suoi abitanti abbandonarono l’isola, lasciando gli appartamenti arredati, il cinema, il supermarket, la pa-lestra, la scuola e l’ospedale alla furia degli elementi. Oggi, più di quarant’anni dopo, Hashima appare spettrale e selvaggia, con le strade ingombre di detriti e le abitazioni in stile modernista vuote e ab- bandonate come zucche di Halloween, le facciate crepate e le finestre cave».

Spostandoci di diversi meridiani a ovest eccoci sulla suggestiva ed emozionate collina delle croci a pochi chilometri dalla cittadina di Šiauliai in Lituania: migliaia di croci, dalle più semplici in legno fino a crocifissi intarsiati alti anche qualche metro, che «rappresentano il testamento sia della fede religiosa, sia della lunga e dolorosa lotta per l’indipendenza della nazione ».

In Francia ci possiamo imbattere in Oradour-sur-Glane nella regione del Limosino, centro abbandonato durante la seconda guerra mondiale: nel 1944 fu vittima di «una delle peggiori atrocità compiute sul suolo francese nel secolo scorso: 646 persone furono trucidate da un’unità della seconda divisione Panzer delle SS, la Das Reich». Il paese venne completamente distrutto.

«Nel villaggio abbandonato, la Peugeot 202 bruciata del sindaco è ancora ferma dov’era stata parcheggiata più di settant’anni fa». Luoghi di storia e di memoria, ma anche bizzarrie della modernità. Una su tutte? La paradisiaca isola artificiale di The palm negli Emirati Arabi, stravagante idea dello sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum: costruita con novantaquattro milioni di metri cubi di sabbia, “l’ottava meraviglia del mondo” – così com’è stata pubblicizzata – aggiunge più di sessanta chilometri alla costa di Dubai, si vede dallo spazio ed è costituita da diciassette fronde che si diramano da un tronco centrale, sul quale serpeggia una strada a otto corsie.

Da un’isola artificiale navighiamo verso un porto prosciugato, quello di Moynaq, nel lago d’Aral in Uzbekistan. Dopo la seconda guerra mondiale, fu organizzato un piano per sviluppare la produzione di cotone. «Per fare ciò due dei maggiori fiumi della regione, l’Amu Darya e il Syr Darya, furono deviati per irrigare la terra. Questi lavori ottennero l’effetto desiderato e l’Uzbekistan, oggi, è uno dei dieci maggiori produttori di cotone al mondo. Ma l’aspetto negativo fu il mancato afflusso di acque nel lago. Così, ciò che un tempo era il fondale oggi non è altro che una distesa di sabbia salata attraversata dai cammelli selvatici» e un cimitero di relitti corrosi. Nel lungo elenco di creazioni architettoniche, paesaggi naturali e percorsi sotterranei – dal controverso monumento al Rinascimento africano in Senegal alla città utopica di Auroville in India, dalle rovine di Ani, ex capitale del regno armeno, alla metropolitana abbandonata di Cincinnati o al mondo perduto del Monte Roraima in Venezuela – non mancano le stranezze d’Italia.


Come Poveglia, «l’isola di quarantena per la peste» (prima) e «dei matti» (poi) nella laguna di Venezia, ormai disabitata, su cui molti cittadini «si rifiutano di mettere piede». E poi un luogo dello spirito di rara bellezza, situato in provincia di Verona: una chiesa scavata e aggrappata alla roccia del Monte Baldo a Spiazzi, ospitata su un poggio di pietra a oltre 770 metri di altezza. È il santuario della Madonna della Corona: «si ritiene che un gruppo di eremiti provenienti dall’Abbazia di San Zeno a Verona, incuranti dell’altezza e della pericolosità dei sentieri montani, stabilirono un ritiro religioso sul Monte Baldo intorno all’anno Mille.


L’esistenza di un monastero nelle vicinanze è accertata a partire dal XIII secolo. Ma le origini della chiesa, secondo la tradizione, sarebbero da far risalire al 1522. Il pellegrinaggio da Brentino Belluno prevede un’ascesa di 1540 gradini. Questo cammino permette di “comprendere e sperimentare il valore e il significato della sofferenza” e in un’ora e mezza di raggiungere il santuario, a discesa invece, è “un piacere per lo spirito e il corpo”». No, il mondo non è ancora, per fortuna, una grande Trude. Basta avere l’atlante giusto. E tanta curiosità.


LA GUIDA Fra le città sepolte d’Italia
In Italia è tale la densità di siti e monumenti archeologici che quasi in ogni comune è possibile imbattersi in antichissime testimonianze lasciateci in eredità da Greci, Etruschi, Romani e popoli italici. Testimonianze isolate e inglobate nella stratificazione dei centri urbani successivi, e poi intere città sepolte dal fango o dal tempo, dal mare o dalla lava, riempite di macerie. Il pensiero va subito a Pompei o Ercolano investite dalla furia del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Ma non solo: lungo le coste o in mezzo ai monti, da Minturnae a Norba, da Tharros a Mozia, c’è un patrimonio tutto da scoprire. Michele Stefanile, archeologo subacqueo dell’Università di Napoli “L’Orientale”, in Andare per le città sepolte (Il mulino, pagine 150, euro 12,00) ci aiuta a esplorare l’Italia attraverso l’unicità dei suoi insediamenti urbani riemersi dal tempo e dall’oblio, scoprendo le tante Pompei che si incontrano tra le Alpi e la Sicilia. «Un viaggio significativo – si nota nell’introduzione – che aiuta a comprendere la reale entità di queste risorse, la necessità di preservarle. L’importanza di valorizzarle. Il dovere di sentirle nostre».

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