martedì 23 marzo 2010
Il giornalista Silvestro Montanaro: «Racconto l’infanzia negata e le ferite degli ultimi. Nel 2010 ci hanno promesso 4 puntate ma all’una di notte e a metà agosto».
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C'era una volta un programma che, caso (quasi) unico nei palinsesti televisivi, raccontava al pubblico le storie degli "ultimi", di coloro che non trovano mai una telecamera che li riprenda o un microfono che dia loro voce. Quel programma si chiamava proprio C’era una volta perché il suo autore nonché conduttore, il giornalista Silvestro Montanaro, voleva sottolineare che non sempre le fiabe che iniziano con quelle quattro paroline hanno un lieto fine. Sicuramente non lo hanno per i bambini che Montanaro ha incontrato (e raccontato) nei Paesi del mondo dove l’infanzia viene sistematicamente abusata e violata da chi, invece, dovrebbe raccontare a quei piccoli la favola della buonanotte. Oggi quel programma non esiste (quasi) più. Al momento per C’era una volta, votato come programma dell’anno nel 2000 e che da allora ha vinto una decina di prestigiosi premi internazionali, si ha notizia solo di cinque puntate in onda su Raitre a partire dalla metà del prossimo agosto, rigorosamente in terza serata. Ma, da qui all’estate, chissà cosa succederà: «Purtroppo non abbiamo certezze» afferma Montanaro che, subito dopo, puntualizza: «Non voglio difendere C’era una volta, se qualcuno crede nel nostro programma sarà lui a farlo. Quello che mi interessa è dare visibilità a quella che chiamo L’isola dei non famosi. Da quando è iniziato C’era una volta abbiamo cercato di raccontare le pagine più oscure dei processi di globalizzazione non solo per rendere visibili i mondi degli ultimi ma anche avvisando coloro che vivono nel mondo ricco che certi meccanismi avrebbero finito per travolgere anche noi. Oggi gli ultimi non appartengono più ai mondi lontani, milioni di famiglie occidentali hanno ormai gli stessi problemi di quelle che, in questi anni, abbiamo incontrato». Un esempio? «Se io racconto cosa succede alle operaie del settore tessile che lavorano in Bangladesh in condizioni disumane, con stipendi ridicoli e senza alcun diritto, racconto anche alle famiglie italiane perché i loro familiari hanno perso, o perderanno, il lavoro nelle fabbriche tessili del nostro Paese che chiudono per riaprire là dove la manodopera è praticamente a costo zero». Oppure «vogliamo parlare di uno dei peggiori incubi delle famiglie italiane, lo stupro e la pedofilia? Sono appena tornato da un viaggio tra la Thailandia, la Cambogia e il confine birmano: lì ci sono milioni di bambini in vendita. Nella sola Pattaya, un ex villaggio di pescatori diventato una delle mete preferite del cosiddetto turismo sessuale, ci sono 350 mila ragazzine che si prostituiscono. Per non parlare dei film pornografici con scene sempre più violente (omicidi compresi) che hanno per protagonisti bambini di tutto il mondo e che vengono venduti normalmente sulle bancarelle al margine della strada. Ammesso che qualcuno possa pensare che, in fondo, non è un problema nostro ma di quei Paesi, io voglio solo far notare che quei turisti, molti dei quali italiani e padri di famiglia, dopo la loro scellerata vacanza tornano in Italia: che rapporto possono avere con i bambini qui da noi, visto che lì si sono abituati a violentarli?». Il discorso, prosegue Montanaro, è valido «per tutte le grandi questioni mondiali, dal lavoro alle risorse energetiche e alla lotta alla criminalità organizzata. Se non le leggiamo in chiave geopolitica, non possiamo capirle. Non possiamo accorgerci dell’Ucraina solo quando corriamo il pericolo che ci chiuda i rubinetti del gas». Il problema, insomma, è l’informazione: «Essere informati ci permette di essere cittadini e democratici. E di non lasciarci condizionare dalla paura, dell’aviaria o della suina solo per citarne un paio, che permette a qualcuno di fare affari infiniti alle nostre spalle e sulle nostre vite». Montanaro chiude lanciando una campagna che sa di provocazione: «Chiedo a tutti coloro che condividono il mio pensiero di esibire la loro "non famosità". Esponete una foto della vostra famiglia, dei vostri figli, accanto a quella di un bambino lontano. Io lo farò, con mia figlia Sole vicina a quella dell’ultima bambina che ho conosciuto in Thailandia. Chissà che, un giorno, non si possa andare con tutte queste foto sotto le sedi Rai o Mediaset a chiedere di dare voce a chi non ce l’ha».
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