venerdì 18 luglio 2014
Denuncia dei centri di accoglienza. Conti in rosso, costretti a chiudere.
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​Obiettivo protezione infanzia difficile. Sulla necessità di non perdere la bussola della tutela dei bimbi allontanati dalla famiglia nessuno ha da obiettare. Ma è nell’attenzione economica, politica e mediatica che le comunità d’accoglienza hanno qualcosa da dire per uscire dagli stereotipi e dai falsi contrasti. E lo fanno con un manifesto di cinque punti, presentato ieri a Roma, in cui sono racchiuse altrettante buone ragioni per cambiare rotta nella protezione dei bambini fragili unite alle richieste alla politica centrale e locale. Prima tra tutte la necessità di linee guida nazionali per l’accoglienza con investimenti certi, poi standard di qualità e un sistema di controllo, il rafforzamento della prevenzione nelle famiglie a rischio e l’istituto dell’affido, accanto al pagamento delle rette da parte degli enti locali. Promosso da Coordinamento nazionale comunità d’accoglienza (Cnca), Coordinamento nazionale comunità per minori (Cncm), Cismai, Progetto Famiglia, associazione Agevolando e Sos villaggi dei bambini, #5buoneragioni parte dallo sfatare alcuni luoghi comuni. Come quello che vede la falsa contrapposizione tra vita in famiglia e protezione da situazioni difficili, come anche la sbagliata dicotomia tra accoglienza in famiglia e in comunità. O ancora il finto contrasto tra pubblico, privato sociale e associazioni oppure la confusione sulla durata e costi degli allontanamenti e sulla scelta affido-adozione. Tutte questioni che troppo semplicisticamente tanti media strumentalizzano, dimenticando il dramma dei protagonisti. Così, per dare la giusta luce alla questione minori, Gianni Fulvi del Cncm ipotizza un «patto tra adulti, operatori del settore, politici e media», perché serie politiche sull’infanzia si fanno insieme con qualità, risorse, volontà politica e controlli.La prima leggenda metropolitana da sfatare è proprio l’eccessivo uso dell’allontanamento e la permanenza prolungata nelle case-famiglia. L’Italia infatti, ha spiegato Liviana Marelli del Cnca, «è il Paese con il più basso tasso di minori fuori famiglia: 29mila, cioè il 3 per mille». In più il 69% è in affido all’interno della rete familiare, dunque scende a 10mila il numero di minori italiani in comunità, dove restano nella metà dei casi meno di un anno. I bambini si allontanano - una volta su tre in maniera consensuale con mamma e papà - soprattutto per inadeguatezza genitoriale (37%), maltrattamenti (12%) o dipendenza di sostanze dei genitori (9%) e non per difficoltà economiche e lavorative dei genitori. Altra diceria è il presunto giro d’affari che ci sarebbe intorno alle comunità d’accoglienza. Qui si parte da un dato di fatto: «Con i tagli alla spesa degli Comuni molte strutture stanno chiudendo o hanno già chiuso». Federico Zullo, presidente di Agevolando ha difatti analizzato non solo i bilanci delle comunità, ma anche le rette necessarie a dare un servizio qualificato ai bambini. Il 70% dei conti delle comunità emiliane, ad esempio, è in rosso, mentre a Napoli gli educatori aspettano lo stipendio da 30 mesi. Stipendi che non superano comunque i 1200 euro, cioè 18 euro lordi l’ora, 7,5 euro netti. La giusta fascia di prezzo a minore invece sarebbe tra i 125 e 151 euro a giorno, mentre in Italia si passa dai 69 euro di Roma ai 130 euro (nominali) della Campania. Con rette più giuste le comunità di accoglienza costerebbero 826 milioni di euro l’anno. Nella realtà la spesa complessiva è 547 milioni - secondo Zullo - ciò  significa «che stiamo risparmiando 280 milioni di euro l’anno, ma quanto ci costerà tutto questo nel lungo periodo?».
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