martedì 21 giugno 2016
Diciassette milioni di nomi conservati in sessantamila faldoni evocano le origini di un sistema finanziario orientato alla solidarietà
«Moltitudini» in mostra all'Archivio storico del Banco di Napoli
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Il tempo che le immagini impiegano per affiorare dal buio è lo stesso che occorrerebbe all’acido per imprimerle sulla carta. «Questo spazio è concepito come se fosse una camera oscura – spiega il fotografo Antonio Biasiucci – e presto sarà dedicato ad Antonio Neiwiller, il grande uomo di teatro che è stato mio maestro». Volti, impasti di pane che evocano la conformazione del cervello, crani scavati dal tempo fino ad assomigliare a valve di molluschi: sono le figure ricorrenti nella ricerca di Biasiucci, convocate nella penombra di una delle 330 stanze che compongono l’Archivio storico del Banco di Napoli. Palazzo Ricca, che lo ospita, sta nella centralissima via dei Tribunali, eppure il luogo è relativamente sconosciuto per molti abitanti della città. «Io stesso lavoro in uno studio a pochi passi da qui, ma non avevo idea del patrimonio conservato nell’edificio», ammette Biasiucci, il primo autore che la Fondazione Banco di Napoli presieduta da Daniele Marrma ha voluto coinvolgere nel progetto delle “Residenze d’artista”. «Pensavo di cavarmela in qualche settimana, al massimo un mese o due – racconta il fotografo – e invece l’impegno è durato un anno intero». Con un duplice risultato. Uno è appunto costituito dalle immagini fluttuanti di Moltitudini, l’installazione che rimarrà in permanenza a Palazzo Ricca, perfettamente integrata nell’attività quotidiana dell’Archivio. Sergio Riolo, che per la Fondazione cura le proposte del “Cartastorie”, indica le nicchie scavate dai faldoni attualmente in consultazione. «Dal punto di vista funzionale – sottolinea – questa è una stanza come le altre, ma nello stesso tempo è un’opera d’arte, che allude in modo poetico ed efficace ai diciassette milioni di vite di cui i nostri registri conservano memoria. Questo, infatti, è il più vasto e il più antico archivio bancario del mondo». Compilati a partire dalla metà del Cinquecento e riuniti nella sede attuale nel 1816, anno della costituzione dell’istituto unitario, i circa sessantamila volumi della Fondazione riportano con precisione strabiliante e spesso con indubbia forza narrativa le transazioni intrecciatesi nei secoli tra gli otto “banchi” che operavano nel centro della città. «In estrema sintesi – suggerisce Riolo – potremmo affermare che a Napoli è nato il moderno sistema bancario, caratterizzato da relazioni reciproche alla base delle quali, in origine, non sta il tornaconto finanziario, ma una cultura della solidarietà e della condivisione poi sviluppatasi, non a caso, nell’economia civile di Giannone e Filangieri». Ci sono i libri dei nomi, che riportano le generalità di quelli che oggi definiremmo “correntisti”, e ci sono i libri dei numeri, che testimoniano meticolosamente l’andamento del dare e dell’avere. Ci sono, più che altro, i preziosissimi libri dei fatti, nei quali si legge la trascrizione letterale dei documenti contabili che, dopo essere stati utilizzati, venivano infilzati in lunghe colonne di carta conservate a loro volta in Fondazione. È grazie a questi registri che si riesce a ricostruire la convulsa giornata del 9 gennaio 1607, nel corso della quale Caravaggio passa da un banco all’altro alla ricerca di una cassa abbastanza fornita da potergli versare subito, in contante, il compenso pattuito per le Sette opere di misericordia. Di qualche mese prima, del 6 ottobre 1606, è l’annotazione relativa all’anticipo concesso al maestro lombardo per un quadro raffigurante una Madonna con Bambino accompagnata dai santi Domenico e Francesco. Opera perduta, a quanto pare, o con più probabilità mai eseguita, nonostante il corrispettivo risulti regolarmente erogato. Su questi e su altri documenti di analogo fascino è costruito il percorso museale interattivo che dalla primavera scorsa si snoda al pianterreno di Palazzo Ricca. Realizzato da Stefano Gargiulo / Kaos Produzioni, il viaggio nella storia dell’Archivio si basa sulla stessa idea di stratificazione della memoria che Biasiucci ha ripreso negli scatti che compongono il pannello monumentale di Codex: la mostra, aperta fino al 18 luglio negli spazi del vicino. Museo Archeologico Nazionale (catalogo Contrasto), è il secondo risultato della sua “Residenza”. Il termine latino da cui deriva il nostro “codice” designa anche, com’è noto, la corteccia dell’albero e a tronchi sezionati assomigliano veramente i faldoni fotografi da Biasiucci. «Mi sono lasciato guidare dal segno grafico tipico di alcuni “giornalisti”, come li si chiamava allora – commenta –, da alcune particolari soluzioni di scrittura per cui la numerazione impressa sul taglio dei registri assume una consistenza pittorica, dalla quale sembrano scaturire le lettere di alfabeti immaginari». «L’obiettivo – aggiunge lo storico dell’arte contemporanea Gianluca Riccio, curatore delle “Residenze d’artista” per la Fondazione – era di rendere ancora più vivo questo patrimonio, attraverso una serie di interventi destinati a incidere, in modo permanente o temporaneo, sul corpo dell’Archivio. In questo modo, come accade già in Codex e in Moltitudini, la vicenda della transazioni finanziarie si rivela per quello che davvero è o, meglio, dovrebbe essere: un susseguirsi di vicende personali, all’interno del quale i nomi dei viaggiatori celebri passati per Napoli, da Goethe a Stendhal e Oscar Wilde, si confondono con quelli del popolo minuto che al sistema dei “banchi” affidava le proprie speranze e la propria dignità».
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