mercoledì 11 dicembre 2013

Domenica la squadra argentina potrebbe festeggiare la conquista del titolo nazionale.

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«Io in oratorio ho un campo dove potete giocare e ve lo concedo, voi in cambio venite a messa e al catechismo...». Questo fu il “contratto” che padre Lorenzo Bartolomè Martín Massa stipulò verbalmente con i ragazzi dell’antico Barrio de Almagro (Buenos Aires), perdutamente innamorati del gioco del fùtbol. Figlio di emigranti torinesi, cattolicissimi, (anche le sue due sorelle avevano preso i voti), a 16 anni (nel 1898) entra nei salesiani e, fedele all’insegnamento di san Giovanni Bosco, unisce all’educazione scolastica la pratica sportiva. Una fusione valoriale perfetta, alla quale padre Lorenzo si era allenato negli anni trascorsi al collegio Pio IX, dove insegnava prima di essere inviato al Barrio de Almagro. Lì il 1° aprile del 1908, nel suo oratorio di Sant’Antonio, fonda la squadra alla quale il Gianella, un giovane del barrio, propone che nell’intitolazione padre Lorenzo figuri “santificato”. Da qui spiegato il nome dell’Atlètico San Lorenzo, ma padre Massa rifiutava un simile onore. «Propose di mantenere il nome per ricordare sia la figura del santo, sia la Battaglia di San Lorenzo del 1813: la prima vittoria per le Province unite del Río de La Plata sugli spagnoli, durante la guerra d’indipendenza argentina», spiega Stefano Borghi nel suo libro San Lorenzo de Almagro. La squadra del cuore di Papa Francesco (Imprimatur, pagine 192, euro 14,00; in libreria da venerdì). La “fede” calcistica di papa Bergoglio per il San Lorenzo, ai tempi in cui era arcivescovo di Buenos Aires, è diventata di dominio universale il 13 marzo 2013 dopo la sua elezione a pontefice. Da allora, come si legge anche nel libro di Borghi, si è andati a scavare alle radici della passione sportiva del giovane Bergoglio, che con rugby e pallacanestro non disdegnava le partitelle a calcio all’oratorio di padre Massa. Sfide da «amateur», lo spirito che papa Francesco lo scorso 13 agosto ha invitato a mantenere anche alle stelle del calcio Messi e Balotelli, che ha ricevuto in Vaticano con le rispettive nazionali d’Italia e Argentina. Sul campetto oratoriale, il Papa da ragazzino ha palleggiato con Alfredo Di Stéfano, «ai tempi suo compagno di scuola diventato poi il più grande giocatore del Real Madrid», sottolinea Borghi. Ma il giovane Jorge Mario si distingue più sugli spalti che come calciatore. Con il padre frequenta il vecchio Gasómetro, lo stadio simbolo del Boedo (sostituito il 16 dicembre del 1993 dal nuovo Gàsometro) “espropriato” nel 1979 dalla dittatura di Videla. Di tutte le squadre della sua gioventù, papa Francesco ha ricordi vivissimi e si diverte spesso a snocciolare la sua “formazione del cuore”. Quella che vinse il titolo nazionale del 1946, la squadra de “El Terceto de Oro”«Farro-Pontoni-Martino» che interruppe la supremazia ultradecennale del River Plate e del Boca Juniors. Renè Pontoni rimane il piccolo eroe esemplare del sanlorencista Bergoglio che, sempre rivolgendosi a Messi e Balotelli, alla vigilia dell’amichevole per il Papa all’Olimpico di Roma, chiese con dolce ironia: «Chissà se qualcuno di voi riuscirà a fare un gol come quello di Pontoni, che ne dite?». Interrogativo legittimo di un innamorato dei “cuervos” (i corvi del San Lorenzo) che con orgoglio custodisce la tessera di socio – n. 88.235 – rinnovata e consegnatagli direttamente in Vaticano dal vicepresidente Marcelo Tinelli. «Questa tienila da conto che è “sacra”», sussurrò, nel riceverla, al suo assistente papa Francesco. Sacralità che si riconosce fin dai colori delle maglie dell’amato club: il rosso e il blu, che sono anche quelli del manto della Vergine Maria Ausiliatrice, la più venerata dai salesiani e festeggiata ogni 24 maggio dai tifosi. Oltre il tridente d’oro del ’46, oggi al San Lorenzo riconoscono un’altra “trinità”, quella di società fondata da un “parroco-santo”, che ha l’onore di avere un Papa tifoso e un calciatore “martire”: «Jacobo Urso, figlio di italiani anche lui, che durante una partita contro l’Estudiantes, nel 1922, in uno scontro di gioco riportò la perforazione del polmone – racconta Borghi –. Indomito continuò a giocare fino a fare il cross per il gol vincente. Poi cadde sfinito a terra e ricoverato in ospedale morì dopo due settimane». Urso era poco più che un ragazzo (23 anni), come il nuovo talento, l’attaccante Ángel Correa, classe 1995, che sta trascinando il San Lorenzo alla conquista del 15° titolo. Due anni fa Correa ha ricevuto la cresima da Bergoglio nel giorno dell’inaugurazione della cappella privata nella sede del San Lorenzo. Un mese dopo l’elezione di papa Francesco, Correa ha fatto il suo debutto in campionato. E la sua storia incarna perfettamente gli splendori e le miserie altalenanti di questo club che, alla metà degli anni ’80 negli spogliatoi non aveva neppure l’acqua per le docce, ma che può vantare ancora il record insuperato di spettatori: 75mila al Monumental, per una partita di serie B contro il Tigre. Vicende che papa Francesco conosce bene e che il sanlorencista e scriba massimo del fùtbol, Osvaldo Soriano, ha reso letteratura, ricordandoci: «Nel calcio non si sceglie un vincitore. Tifare San Lorenzo è un interminabile soprassalto, un carico che ci si porta dietro nella vita con tanto sconcerto ed orgoglio, come quello di essere argentino».
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