venerdì 23 dicembre 2016
L’azzurra campionessa paralimpica di scherma: «Dopo Rio il nostro movimento è cresciuto tanto. Dobbiamo spiegare a tutti i bambini che la disabilità non deve fare paura»
L'augurio di Bebe Vio: «Fate bei sogni... d'oro»
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Non basta un libro come quello che ha scritto (Mi hanno regalato un sogno - Rizzoli -) per descrivere il meraviglioso mondo di Bebe Vio. Un mondo fatto di scherma, frizzante di idee e di spritz, per brindare a una vita unica e preziosa. Personaggio suo malgrado, la 19enne fiorettista paralimpica è la più forte del mondo, imbattuta dal 2014 ad oggi, e con in mezzo la conquista di due titoli europei, un mondiale e due ori (individuale e a squadre) ai Giochi di Rio 2016. Vincere per lei è diventata una piacevole abitudine, «come l’apericena a Milano» e un portafortuna. Come l’ex peluche immondo “Squaquero” raccolto con disgusto per strada a Parigi e nominato in pedana talismano ufficiale della nazionale paralimpica di scherma che ormai tira al grido di battaglia «Squaquero spacca!». Passa di carrozzina in carrozzina il peluche con cui Bebe è diventata la regina di Rio. La regina dei sogni d’oro. Ognuno di noi è un sognatore e ogni vita umana è straordinaria e degna di essere conosciuta, ma questa di Bebe la leggi tutta d’un fiato negli occhi azzurri di una creatura fantastica che nel 2008 («il 19 novembre, era un mercoledì ed ero tornata dall’allenamento di scherma», ricorda) quando aveva 11 anni, una meningite fulminante se la stava portando via. La corsa in ospedale e la diagnosi impietosa: infezione, con annessa necrosi ad avambracci e gambe. Tutti gli arti da amputare. La fine? No, perché dopo «104 giorni di ospedale» circondata dall’amore dei suoi genitori e dei fratelli Nico e Sole, Bebe comprende che «la mia vita non è la mia malattia». E in cuor suo avverte che solo ciò che finisce può davvero rinascere. La rinascita la trova nel fioretto e nel team speciale dell'art4sport, l’associazione che papà Ruggero e mamma Teresa hanno creato per Bebe e altri ragazzi portatori di protesi di arto desiderosi di praticare sport. «All’inizio l’unico membro dell’art4sport team ero solo io. Oggi siamo in diciotto e a breve saliremo a venti. E questo mi sembra già un bel cambiamento...». Cambiare, lottare per crescere, è il messaggio che la “scultrice di sogni” – come l’ha definita il suo amico e cantante preferito Jovanotti – va portando in giro per il mondo. La voglia di incidere, continuamente, mostrando fiera le cicatrici sulla pelle che gli ha lasciato la malattia, ma quelle sono anche i più bei tatuaggi di speranza da offrire in dono, non solo a Natale, a chi ha smesso di sognare. I suoi sogni d’oro sono diventati quelli di una squadra composta da ragazze «come la mitica Saretta che per spiegare ai bambini – dalla prima alla quinta elementare di Jesolo –che cos’è la disabilità è salita in piedi su una cattedra facendo vedere a tutti come è fatta una protesi». Una lezione da piccoli supereroi. Come Capitan Uncino che ha un gancio al posto del braccio «ma per i bambini è un supereroe». Ed è a loro che si rivolge Bebe «perché i grandi ormai ce li siamo giocati, ma con i bambini si può lavorare, gli si può spiegare che la disabilità non deve fare paura».

Solo la Bebe fa paura, alle avversarie si intende, quando sale in pedana e non ce n’è per nessuna. Specie dopo le Paralimpiadi di Rio. Il 2016 sta per finire, ricordi brasiliani?

«Tanti. Indubbiamente l’ingresso al Maracanã sventolando il tricolore durante la cerimonia di chiusura rimane uno dei ricordi più belli insieme alla vacanza post Paralimpiadi che ho fatto con tre miei compagni di squadra».

Quanto è cresciuto in questi anni il movimento paralimpico?

«Londra nel 2012 ha aperto la strada e Rio ne ha seguito la scia. Per rendersene conto basta pensare allo spazio mediatico che hanno avuto le Paralimpiadi anche nel nostro Paese. Purtroppo, però, molto spesso non c’è conoscenza delle possibilità esistenti nell’ambito paralimpico, capita che i genitori stessi non sappiano che esistono un sacco di sport che il loro figlio potrebbe praticare. Questo è uno dei punti sui quali bisognerà sicuramente lavorare».

Questa è la missione della vostra art4sport.

«Il nostro obiettivo principale è procurare ai bambini che vogliono fare sport i “pezzetti” necessari per farlo. Il problema vero non è la mancanza di impianti o di attrezzature, ma di conoscenza del mondo paralimpico. Abbattere le barriere vuol dire prima di tutto abbattere le paure dei ragazzi e dei loro genitori... Cavoli, che cose serie che dico certe volte - sorride -»

Essere diventata un personaggio pubblico, un punto di riferimento per tanti ragazzi ti pesa un po’?

«La vivo bene, soprattutto perché so che le mie parole possono arrivare lontano e ho la possibilità far conoscere il mondo paralimpico a tantissime persone».

Qual è invece il tuo punto di riferimento nello sport?

«Ce ne sono tantissimi. Solo per citarne alcuni allora penso a Alex Zanardi e Martina Caironi tra i paralimpici ed il “Dream Team” (Valentina Vezzali, Arianna Errigo ed Elisa di Francisca) per la scherma olimpica, perché ciascuna delle azzurre mi ha sempre ispirato. Stimo tanto Valentina per la grinta e la determinazione, Arianna per la tecnica e l’aggressività e infine Elisa per la sua tranquillità nell’affrontare anche le sfide più difficili con il sorriso».

Non fanno affatto ridere invece i continui scandali di doping nello sport olimpico. L’aiutino illecito è una piaga anche di quello paralimpico?

«Di sicuro non c’è doping nella scherma olimpica e neppure in quella paralimpica. Io, infatti non ero d’accordo per l’esclusione degli atleti russi a Rio».

Dopo aver messo gli occhiali di Gandhi, qual è l’incontro più importante che hai fatto?

«Margherita di art4sport che, a soli dieci anni, mi ha insegnato che non diventa campione chi vince una medaglia ma diventa campione chi lotta per i propri sogni e li realizza nonostante tutto. Margherita, infatti, che pratica taekwondo, voleva iscriversi a una gara insieme a dei bambini normodotati, ma non volevano inserirla. Alla fine è riuscita a partecipare e a conquistare il terzo posto, nonostante abbia gareggiato nell’under 11 contro maschi e femmine. Un mito...».

Sì sa della tua grande affinità elettiva con Jovanotti, ma oltre a "Ragazzo fortunato", che interpreti in "Ragazza fortunata", quali sono le altre canzoni nella tua colonna sonora quotidiana?

«Ragazza magica, sempre di Lorenzo. È una canzone che ho cantato a squarciagola sul balcone del villaggio paralimpico la notte prima della gara di Rio. È il brano che poi mi ha dedicato proprio Jovanotti con un video prima del decollo sul volo di ritorno per l’Italia. Bellissimo...».

La tv (hai condotto alla “Domenica Sportiva”, e alle “Iene”) è stata una parentesi o saresti pronta anche per un programma tipo “Sfide” che parli di sport vero e puro?

«Mi piace mettermi in gioco anche in televisione ma, in primis, resto pur sempre un’atleta».

Obiettivi futuri?

«Senza dubbio le Paralimpiadi di Tokyo nel 2020. Prima però c’è la Coppa del Mondo ad Eger (Ungheria) il prossimo febbraio si torna in pedana».

Che dono vorresti per questo Natale?

«Mi piacerebbe molto ricevere una bella borsa. Volevo comprarla con il premio delle medaglie delle Paralimpiadi ma in quest’ultimo periodo sono sempre stata molto impegnata e non ho ancora avuto tempo. A questo punto sarebbe bello ci pensasse Babbo Natale…».

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