sabato 10 agosto 2013
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Finale scudetto 2005-2006: la Fortitudo Bologna crolla sotto i colpi della Pallacanestro Treviso. Di lì a poco, entrambe vengono spazzate via dal basket che conta: gli emiliani, dopo l’addio dell’imprenditore Giorgio Seragnoli («Sono felice. Non ne potevo più...»), scivolano debiti su debiti nelle serie inferiori, subendo perfino l’onta di una radiazione. Quest’anno ripartirà dalla Dnb, la quarta serie. Per i veneti, l’uscita di scena nel 2012 del patron Gilberto Benetton («Continuiamo l’impegno nel settore giovanile, il resto è diventato troppo costoso») ha significato l’addio al professionismo di uno dei club più titolati d’Italia.Chi riesce a non crollare, comunque trema: dai campioni di Siena – sette titoli consecutivi, ma le casse non sono più quelle dei tempi d’oro e a giugno 2013 scadrà la sponsorizzazione di Monte dei Paschi – fino alla Virtus Roma. Finalista scudetto lo scorso anno, la squadra della Capitale ha rinunciato a partecipare all’Eurolega per problemi economici. E anche Cantù – altro storico club – sta stringendo i denti pur di non alzare bandiera bianca: «Non vogliamo mollare, ma se da qui a un anno le cose non cambieranno, cederemo la società – ha detto la presidente Anna Cremascoli – L’uscita di scena di Bennet nell’aprile 2012 ha minato le nostre certezze». E sono molte le società costrette negli ultimi anni a pagare il conto della crisi: dalla Virtus Bologna a Biella, da Firenze a Napoli, che lo scorso anno ha giocato solo le prime tre partite in LegaDue per il mancato pagamento della prima rata di contributi obbligatori previsti. C’è chi prova a risollevare la testa coinvolgendo i tifosi nelle proprietà del club (come il Consorzio Aquila Basket, a Trento), ma lo stato di salute della pallacanestro italiana resta critico. Una crisi economica «ma anche di coraggio e di idee», spiega Gianni Corsolini, una vita spesa per il basket, anche come presidente di Lega: «Spesso i presidenti dei club italiani non valorizzano i vivai e non hanno un’idea di programmazione del lavoro». E, almeno all’inizio, fanno i conti senza l’oste: «Se persino uno come Mennea, che lo sport lo amava eccome, ha detto che l’organizzazione delle Olimpiadi a Roma non sarebbe sostenibile per l’Italia, credo che anche le società di basket debbano studiare bene cosa fare con i budget a disposizione, per non scoprire troppo tardi di dover affrontare spese fuori portata».A perdere pezzi è anche la pallacanestro femminile. Due casi su tutti: Comense e Club Atletico Faenza. «Da una parte c’erano i costi fissi, tra iscrizioni e visti per giocatrici stranieri, cresciuti a dismisura. Dall’altra gli sponsor che non arrivavano – racconta Claudio Bagnoli, ex general manager della società romagnola – Negli ultimi tempi, perfino le trasferte erano a rischio: faticavamo a pagare la benzina per il pullmino. È un peccato, anche perché a Faenza il basket era come una piccola azienda: garantiva un lavoro, direttamente e non, ad almeno 20-30 persone». Così, la crisi ha finito per rimbalzare anche sulle giocatrici: «Ce ne sono molte che in A1 non sfigurerebbero – chiude Bagnoli – disposte ad accettare un ingaggio da 700-800 euro mensili». Campionesse e precarie, ai tempi della crisi.
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