martedì 23 maggio 2017
L'alpinista valdostano ha scalato il suo primo Ottomila, in sole tredici ore dal campo base. «Dietro questa salita - ha detto - c'era una grande voglia di riscatto dopo gli infortuni»
Hervé Barmasse sulla vetta dello Shisha Pangma, 8.027 metri

Hervé Barmasse sulla vetta dello Shisha Pangma, 8.027 metri

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Esordio col botto, per Hervé Barmasse, sugli Ottomila. L'alpinista valdostano 39enne, alla sua prima spedizione sui giganti della Terra, ha portato a termine la salita dello Shisha Pangma (8.027 metri), in cordata con il tedesco David Goettler. I due sono partiti domenica alle 4,45 da quota 5.850 e, dopo appena tredici ore di scalata, sono sbucati sulla vetta alle 17,45, sfruttando alla perfezione una finestra di bel tempo limitata a meno di 24 ore. La cordata ha risalito la montagna lungo la parete Sud, in stile alpino. Cioè, senza fare uso di bombole di ossigeno, né dell'aiuto dei portori d'alta quota o di piste già tracciate. Un'impresa by far means, riuscita in passato soltanto a Erhard Loretan (terzo alpinista ad aver scalato tutti i quattordici Ottomila della Terra), Jean Troillet e Wojciech Kurtyka.

Coraggio e determinazione

«È il momento più bello – sono state le prime parole al telefono satellitare pronunciate dopo l’impresa da Barmasse - è stato proprio quando nei pressi della vetta, guardando l’orologio, abbiamo capito in quanto poco tempo eravamo saliti. Non per una questione di record, ma di capacità di sfruttare al meglio le poche ore di bel tempo e il nostro impegno fisico e mentale. Parlare di stile alpino, in Himalaya è facile, ma avere il coraggio di praticarlo su una montagna cosi grande, è un'altra cosa. Pochissimi alpinisti al mondo ci sono riusciti e iniziare la mia esperienza a quota 8000 in questo modo è per me molto significativo».

Il rischio sotto la vetta

L'impresa di Barmasse e Goettler avrebbe potuto avere un epilogo ben diverso se i due alpinisti non avessero mantenuto lucidità e responsabilità fino alla fine, nonostante la fatica della scalata. «Mancavano meno di tre metri per essere sul punto più alto della montagna, forse solo una cornice di neve - continua a raccontare Barmasse - ma ad ogni passo il manto nevoso si assestava con rumori preoccupanti. Ci siamo guardati e con un cenno d'intesa siamo ritornati sui nostri passi, al sicuro per goderci il panorama e scattarci una foto a testa. Sono certo che pochissimi alpinisti si porrebbero il problema di specificarlo, ma noi ci teniamo a sottolinearlo perché quei 2/3 metri, anche solo tre passi, potevano fare la differenza tra vivere o morire». Un esempio di correttezza che fanno del valdostano un vero testimonial dell'alpinismo pulito e in sicurezza. I due, infatti, erano completamente soli e, di conseguenza, in caso di incidente non ci sarebbe stata alcuna possibilità di soccorso.

«Grande voglia di riscatto»

«Dietro questa salita - conclude Barmasse - c’era una grande voglia di riscatto dopo i miei due recenti infortuni, e la voglia di dimostrare che ci si può rialzare e che niente è impossibile».

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