mercoledì 26 novembre 2014
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«Fidelio non è come tutti credono un’opera politica sulla giustizia e sulla libertà. È un’opera sull’amore coniugale, che racconta come una donna, Leonore, sia disposta a fare di tutto per liberare il marito ingiustamente imprigionato. È l’opera di un uomo di una moralità assoluta, che ha con la sua musica ha voluto elevare l’uomo». Ecco perché Daniel Barenboim bolla come «ignoranti» quei registi che hanno messo in scena l’opera di Ludwig van Beethoven riempiendo il palcoscenico di divise naziste. Il direttore d’orchestra, che il 7 dicembre aprirà la nuova stagione del Teatro alla Scala con l’unico titolo operistico scritto dal musicista tedesco, parla di quella che sarà la sua lettura musicale all’Università Cattolica. Lo fa nell’Aula magna dell’ateneo milanese, davanti a un pianoforte. Al quale però non si siede. Nessuna nota per raccontare Fidelio. Solo parole. Forse perché «non c’è un altro compositore che utilizzi il silenzio dentro la musica in così tanti modi come fa Beethoven: per interromperla, per lasciarla riposare, per dare una tensione drammatica, arrivando a creare l’illusione che il mondo è fatto di suoni e silenzi che convivono in armonia e in pace» dice Barenboim che, parlando di libertà, cita un documento del 2002 del presidente americano George Bush. Lo fa, lui che da sempre si è impegnato per il dialogo tra israeliani e palestinesi, con un sorriso un po’ amaro. Perché nel testo gli Stati Uniti si dicono impegnato «ad estendere i benefici della libertà attraverso il pianeta perché se tu puoi fare qualcosa che gli altri apprezzano devi essere in grado di vendergliela e se altri fanno qualcosa che tu apprezzi devi essere in grado di comprarla ». Non sarà questa la libertà che racconterà Barenboim che sul leggio avrà l’ultima versione della partitura «quella approntata da Beethoven nel 1814 dopo il flop della prima del 1805». Con qualche piccola modifica perché «con la regista Deborah Warner abbiamo deciso di aggiornare con un linguaggio più moderno i dialoghi». Per parlare ancora di più alla contemporaneità. Perché Fidelio  è un’opera che alterna musica e dialoghi parlati, un singspiel. E qui c’è un’altra sfida che Barenboim si impone di vincere, creare nell’ascoltatore, quella che nel suo italiano il direttore chiama «incertitudine » perché «in un secondo occorre far dimenticare al pubblico che ha ascoltato grande musica e farlo appassionare al dialogo teatrale. E quando riparte la musica portarlo ad essere sorpreso dal ritorno delle note». Un’opera che dura meno di due ore, perché «Beethoven è sintetico, conciso, non ha una nota che sia solo ornamentale. La sua musica parla a tutti, certo quando chi ascolta apre il proprio pensiero e il proprio cuore » racconta il direttore che pii spiega come Fidelio  «inizi quasi come un’opera leggera per diventare via via sempre più profonda». Un’opera non facile perché, conclude Barenboim, «in essa convivono stili diversi. Sta all’ascoltatore fare sintesi e crearsi la sua musica colora con i suoi sentimenti quello che sente». 
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