sabato 28 febbraio 2015
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La pirateria non è l’unico cruccio che tormenta gli sceneggiatori italiani. Da qualche tempo, infatti, le firme del piccolo e grande schermo stanno lottando per il riconoscimento dei propri diritti. La loro è una battaglia silenziosa, condotta più che altro dietro le quinte, a telecamere (o cineprese) spente. Ma con un obiettivo ben preciso: l’equo compenso. Il termine – tecnico – è stato introdotto nel 1998 e sta a indicare il compenso che spetta per legge agli autori a fronte dello sfruttamento delle loro opere. Semplificando: ogni qualvolta un film, un documentario o una fiction vengono replicati su un canale o trasmessi su piattaforme terze (a pagamento, su internet, on demand…), gli sceneggiatori coinvolti dovrebbero ricevere una somma aggiuntiva, concordata tra i network e la Siae. E oggi non è certo raro che un’opera vada ben oltre il primo passaggio tv, considerato l’elevato numero di canali digitali gratuiti e a pagamento, nonché il moltiplicarsi di piattaforme on line o a richiesta come Infinity, SkyOnDemand, Mediaset Premium Play... Eppure l’equo compenso, spesso e volentieri, non viene versato, quasi che non si comprendesse la necessità di dover retribuire, sempre e in tutte le sue forme, la creatività autoriale. «Spesso si pensa che è l’attore a fare cassetta e richiamare alla visione, mentre è l’autore la base del successo di un’opera», commenta Biagio Proietti, autore e consigliere di gestione Siae.  Il caso più eclatante è rappresentato da Sky: per circa quattro anni la piattaforma satellitare si è letteralmente rifiutata di pagare l’equo compenso agli sceneggiatori cinematografici e tv, nonostante l’ampio numero di titoli italiani presenti nella propria offerta. Agli occhi di Sky, infatti, l’equo compenso appariva un diritto incostituzionale. E per un po’ di tempo nemmeno la sconfitta incassata dall’arbitrato con la Siae aveva spinto la piattaforma a cambiare linea. Fino a oggi. Nei giorni scorsi, infatti, la Siae ha annunciato la nascita di una partnership con Sky e il contestuale accordo di licenza raggiunto tra le parti. Tale intesa – si legge nella nota diffusa – «garantisce il diritto degli autori e degli editori a ricevere un’equa remunerazione per l’utilizzo delle proprie opere e recepisce tutti gli elementi di novità legati all’evoluzione dell’offerta di Sky Italia, tenendo conto dell’importante contributo che Sky sta dando allo sviluppo del comparto culturale italiano». Ma se la prima battaglia è stata vinta dagli autori e dalla Siae, la guerra appare ancora lunga. Recentemente l’autore Andrea Purgatori ha infatti dichiarato che Sky non sarebbe l’unica insolvente: «Tutti i signori della tv, nessuno escluso, devono mettersi in testa di ricono- scere l’equo compenso agli autori, che ha ormai raggiunto un debito complessivo di circa 80 milioni di euro », spiega Purgatori. «La cosa riguarda anche Mediaset, che ha un debito di 40 milioni, e in percentuale inferiore la Rai, che ha perso anche un lodo arbitrale». Interpellata sull’argomento, la Siae prova a gettare acqua sul fuoco: «Pagheranno – assicura Proietti –. Andrea si preoccupa di riscuotere prima, ma pagheranno!». Tuttavia le trattative tra le parti sono ancora in corso.  Ma se gli sceneggiatori navigano in difficili acque, non va certo meglio agli autori di intrattenimento. I quali non possono nemmeno avvalersi dell’equo compenso, visto che quest’ultimo si applica solo alle opere cinematografiche o assimilabili. In materia di show e varietà, i programmi vengono quindi tutelati da un contratto di commissione Siae: questo vuol dire che, per lo sfruttamento delle opere, il network paga una somma alla Siae che, a sua volta, provvede a ripartirla tra gli autori. Peccato che, anche in questo caso, le reti tentano di aggirare la prassi siglando direttamente con gli autori contratti privati, spesso decisamente fantasiosi: la maggior parte dei testi proposti prevedono la cessione dei diritti «per tutti i mezzi ancora da inventare e tutti i pianeti ancora da scoprire» (citazione testuale). Anche in questo caso la Siae sta trattando con le parti per concordare un nuovo modello di contratto di commissione, che sia da un lato più snello e facilmente adottabile, e al contempo «restituisca il grande ombrello protettivo agli autori», come spiega Proietti. «Nel 1998 Rai e Mediaset applicavano sempre il contratto Siae, quindi gli autori, pur essendo esclusi dall’equo compenso, godevano comunque di una protezione. Poi il fiorire dei generi e la crescente contaminazione ha dato adito a stringere contratti diretti. Questi si ispirano a quelli cinematografici, senza tuttavia includere l’equo compenso».
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