giovedì 3 gennaio 2019
Non solo “Il vaso di fiori” di van Huysum trafugato da Palazzo Pitti dalle truppe tedesche nel 1944 Dopo l’appello del direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, ecco la “mappa” del patrimonio perduto
L’appello dagli Uffizi ai predatori dell’arte perduta
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La notizia non è passata di certo sottotraccia, anche perché l’appello lanciato il primo gennaio da Eike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi, ha il sapore di una denuncia pubblica, in un mondo – quello dei musei e dell’arte ufficiale – così spesso paludato, dove si preferisce di solito occuparsi più degli ammiccanti scintillii esteriori che delle non trascurabili zone d’ombra. L’eclatante dichiarazione rivolta alla madrepatria dallo storico dell’arte tedesco, chiamato nel novembre 2015 alla guida del prestigioso museo fiorentino, ha trovato una giusta cassa di risonanza sia sulla stampa tradizionale che via internet: «Faccio un appello alla Germania.

Ci auguriamo che nel corso del 2019 possa essere finalmente restituito agli Uffizi il celebre Vaso di fiori del pittore olandese Jan van Huysum, rubato da soldati nazisti nel corso della Seconda guerra mondiale e attualmente nella disponibilità di una famiglia tedesca che, dopo tutto questo tempo, non l’ha ancora reso, nonostante le numerose richieste da parte dello Stato italiano ». E a questa stringente esortazione, Schmidt ha fatto seguire il gesto simbolico di appendere nella Sala dei Putti a Palazzo Pitti, sulla cui parete era collocato il dipinto prima del trafugamento, una riproduzione fotografica realizzata da Alinari verso la fine dell’Ottocento, apponendo agli angoli dell’immagine in bianco e nero la vistosa dicitura «rubato» in italiano, inglese e tedesco, oltre a una didascalia esplicativa che chiama appunto in causa i responsabili del furto: i soldati della Wehrmacht che occupavano Firenze. «Saremo ben lieti di rimuovere questa memoria fotografica quando agli Uffizi sarà restituito l’originale» è la speranza espressa dal direttore. Al di là del-l’effetto mediatico, il gesto vuol far conoscere al grande pubblico un capolavoro ben noto nell’ambiente degli studiosi d’arte, scoraggiandone al tempo stesso l’acquisto da parte di qualche collezionista sprovveduto o privo di scrupoli. Il delizioso Vaso di fiori, olio su tela di dimensioni abbastanza contenute, 47 per 35 centimetri, di Jan van Huysum (Amsterdam 1682 - 1749), era stato acquistato da Leopoldo II nel 1824 per la sua quadreria all’interno della Galleria Palatina appena fondata. Per più di un secolo rimase esposto nella Sala dei Putti, insieme alle altre nature morte olandesi presenti nella straordinaria collezione del granduca.

Nel 1943, Palazzo Pitti venne evacuato e le opere trasferite prima nella residenza medicea di Poggio a Caiano, poi, sempre sulle rive dell’Arno, a Villa Bossi Pucci. Le truppe naziste in ritirata prelevarono l’opera di van Huysum insieme a moltissime altre che, chiuse in apposite casse, furono ammassate a Castel Giovo, in provincia di Bolzano. La cassa in cui era riposto il Vaso di Fiorivenne trovata aperta e della tela si perse ogni traccia. Fino al 1991, quando ricomparve nella Germania da poco riunificata. La storia prosegue fino a oggi con diversi intermediari che hanno tentato più volte e a vario titolo di mettersi in contatto con le autorità italiane, chiedendo un riscatto per la riconsegna dell’opera, tant’è che la procura di Firenze ha aperto un’inchiesta al riguardo. Il quadro trafugato è già di proprietà dello Stato italiano e non è quindi alienabile né acquistabile.

«A causa di questa vicenda che intacca il patrimonio delle Gallerie degli Uffizi, le ferite della seconda Guerra Mondiale e del terrore nazista non sono ancora rimarginate – sottolinea l’appello di Eike Schmidt –. La Germania dovrebbe abolire la prescrizione per le opere rubate durante il conflitto e fare in modo che esse possano tornare ai loro legittimi proprietari… Esiste comunque un dovere morale di restituire quest’opera al nostro museo: e mi auguro che lo Stato tedesco possa farlo quanto prima, insieme, ovviamente, ad ogni opera d’arte depredata dall’esercito nazista».

Qualche anno fa, suscitò scalpore il caso di Cornelius Gurlitt, il collezionista deceduto nel 2014 a 81 anni e figlio del principale mercante d’arte del Reich nazista. Gurlitt aveva accumulato più di 1.500 opere – il cosiddetto «tesoro di Hitler» – recuperate e sequestrate per la maggior parte nel 2012 in un vecchio appartamento a Monaco di Baviera. Il sospetto fondato era che le opere – capolavori tra l’altro di Picasso, Matisse, Chagall, Renoir, Monet – fossero state sottratte illegittimamente ai loro proprietari in Germania e nelle zone occupate durante la guerra. Gli esperti riuscirono a identificare la provenienza illegale di poche tele e la collezione Gurlitt è stata alla fine ereditata dal Museo d’arte di Berna. Anche sull’onda di questo caso, nel 2014 il governo tedesco ha restituito al Museo nazionale di Varsavia un dipinto del veneziano Francesco Guardi (1712-1793), depredato dalle truppe naziste nel 1939. In Italia, all’indomani dell’8 settembre 1943, i tedeschi diedero vita al Kunstschutz, uno speciale reparto della Wehrmacht diretto da un colonnello delle SS, il professor Alexander Langsdorff.

Il suo compito era di proteggere il patrimonio artistico della penisola dai danni collaterali provocati dall’avanzata angloamericana, un intento “nobile” che nascondeva in realtà un secondo fine: la razzia sistematica delle opere presenti sul territorio italiano. Va a Rodolfo Siviero (Guardistallo, Pisa, 1911 - Firenze 1983) il merito di aver salvato molte delle opere trafugate. Plenipotenziario dell’Ufficio recuperi, istituito nel dopoguerra dal governo De Gasperi, Siviero si recò in Germania a capo della missione diplomatica per la restituzione delle opere d’arte stipate nei depositi tedeschi. Rientrarono così in Italia la Danae di Tiziano, appartenente al Museo di Capodimonte ma regalata nel ’44 a Göring per il suo compleanno, l’Apollo proveniente da Pompei, l’Hermesdi Lisippo, il Discobolo Lancellotti, la Leda del Tintoretto. Quello delle restituzioni dei capolavori trafugati negli anni Quaranta è purtroppo un capitolo ancora aperto. La speranza è che si facciano ulteriori passi in avanti, che l’appello di Eike Schmidt venga raccolto e il Vaso di Fiori di van Huysum ritorni agli Uffizi.

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