domenica 12 dicembre 2010
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«Dalla comparsa dell’islam nel VII secolo fino a oggi, abbiamo vissuto assieme e abbiamo collaborato alla creazione della nostra civiltà comune... È nostro dovere, dunque, educare al rispetto e alla stima reciproca». Il passo del Messaggio dell’Assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi, (ottobre 2010), ponendo l’accento sulla «comune civiltà», indirettamente si riferisce a un dialogo culturale che si è dipanato nella storia, e che può avvalersi anche di una rete di musei il cui scopo è preservare e presentare oggetti che testimoniano quattordici secoli di artefatti ispirati all’islam.Singolare tra questi appare il Museo internazionale delle culture islamiche (Immc) di Jackson, la capitale dello stato del Mississippi. Recentemente promossa anche dal governo di Washington, questa istituzione è nata per iniziativa di un’attivista afroamericana, Okolo Rashid, desiderosa di metter in luce la misura in cui l’islam sia stato veicolato in America, tra l’altro attraverso la tratta degli schiavi. La Rashid decise di lanciare un’esposizione sui contributi islamici alla cultura spagnola quando nel 2000 il Museo dell’arte di Jackson ospitò un mostra sulla tradizione iberica, dalla quale l’aspetto moresco era completamente assente: a lei e ad altri intellettuali che frequentavano la locale moschea questa sembrò una mancanza cui occorresse rimediare. Dalla filosofia di Avicenna e Al Farrabi, che trovarono in Spagna ampia diffusione, alle diverse tecniche e strumenti di navigazione la cui influenza sull’arte marinara occidentale è testimoniata dal permanere di parole quali "ammiraglio" (in tutte le sue versioni: lo spagnolo almirante, l’inglese admiral, il tedesco admiral) che viene dall’arabo "emiro",  o "magazzino" (attraverso lo spagnolo almacén da majazan che in inglese dà magazine, oggi inteso quale "rivista"), a tutta l’arte almudejar di cui nella ceramica si trovano espressioni privilegiate, in pochi mesi la "contro-mostra" prese forma. Doveva chiudere a fine settembre 2001: ma l’11 di quel mese fu compiuta la serie di attentati che segnano una nuova era nei rapporti tra islam e Occidente, e presentano il rischio di una nuova condizione conflittuale. Per rispondere a tale emergenza, a Jackson i musulmani, sostenuti da diversi pastori cristiani, decisero di fare dell’esposizione temporanea un museo permanente, volto a «favorire la tolleranza tra le culture e le fedi, a contenere il fanatismo religioso e razziale, a promuovere il dialogo civile e religioso». Così recentemente l’Immc ha trovato posto nel Mississippi Arts Center e ha dato vita a una serie di esibizioni, tra la quali rilevante quella su Timbuktu, capitale dei commerci carovanieri nell’Africa subsahariana, crocevia di scambi di preziosi, sale e schiavi. Tra le ricerche attivate dell’Immc risalta quella, condotta tra gli altri da Sylviane Diouf, volta a dimostrare le origini musulmane del blues: questa musica, sorta dai canti degli schiavi che lamentavano la loro condizione nelle piantagioni nel delta del Mississippi, deriverebbe dall’azan, la chiamata alla preghiera che il muezzin cinque volte al giorno grida dal minareto, in modo cadenzato. Anche in Europa la cultura islamica è stata rilanciata come strumento di dialogo. Per esempio al Louvre, dove è stata decisa (nel 2005) l’apertura di una nuova galleria di arte islamica (sarà inaugurata nel 2012) nel cortile Visconti, in cui confluiranno i circa 10 mila pezzi che formano la collezione a disposizione dell’istituzione parigina. La nuova struttura è stata progettata dal milanese Mario Bellini con Rudy Ricciotti, secondo la modalità del "museo-scultura": si tratta infatti di una grande copertura trasparente, ondulata come un immenso foulard a ricordare il velo islamico, che si posa con delicatezza tra le facciate interne dell’edificio neoclassico di metà ’800: «È in vetro e acciaio rivestito con una maglia di alluminio dorata che lo rende madreperlaceo - spiega Bellini - come quei preziosi tessuti islamici all’interno». Dopo le piramidi di Ieoh Ming Pei, realizzate al Louvre alla fine degli anni ’80 (anch’esse peraltro volte a significare il contatto con una cultura africana: quella egizia) questa è la maggiore opera che si compie nella mecca della cultura francese.Che peraltro, tramite scambi culturali, ha dato il proprio contributo anche a un altro, nuovo e grande Museo di arte islamica, completato a Doha (Qatar) nel novembre 2008 su progetto dello stesso Pei. Anch’esso un edificio di grande espressività che tramite la sovrapposizione di giganteschi elementi quadrangolari tra loro ruotati di 45 gradi compone una forma semplice e articolata, di forte contemporaneità ma evidentemente radicata nella tradizione delle costruzioni arabe, a partire dall’ambientazione: come se fosse un’immensa moschea, il museo appare alla fine di un lungo e diritto viale alberato. Separato dal contesto della Doha attuale, irta di grattacieli: su un isolotto realizzato ad hoc presso la costa. I pezzi forti esibiti all’apertura sono stati una fontana bronzea andalusa e un astrolabio mesopotamico: testimonianze dell’estensione geografica e scientifica dalla cultura arabo musulmana.Tra i tanti altri musei di arte islamica nel mondo (soprattutto arabo), va segnalato anzitutto quello del Cairo (ospitato in un edificio di stile arabo-mammalucco di fine ’800 il cui restauro è stato appena terminato): la sua collezione di tessuti, tappeti, pitture, decori e soprattutto opere calligrafiche (tra gli aspetti più tipici della cultura islamica) è tra le più importanti al mondo per quanto sia relativamente poco visitato in quanto offuscato dalla fama della più antica cultura dei faraoni. Mentre a Istanbul in Turchia non c’è chi non visiti Santa Sofia, la stupenda cupola tardoantica costruita come chiesa, resa moschea dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453 e trasformata da Atatürk in museo nel 1935 - ma vi sono anche altri musei di arte islamica, tra i quali il noto Topkapi.In Europa le principali collezioni di arte islamica si trovano nel Regno Unito: si ritiene che il Nasser David Khalili Collection of Islamic Art di Londra sia la maggiore raccolta privata al mondo di arte coranica, mentre il Victoria and Albert Museum, essendo dedicato all’arte decorativa, ha una quantità notevole di pezzi di origine islamica. Il British Museum ha un ampio settore islamico e l’Ashmolean Museum di Oxford ha una delle principali raccolte di ceramiche islamiche fuori dal mondo arabo. In Germania vi sono poi tre musei di arte islamica: a Berlino (nel Pergamon Museum), a Bamberg e a Düsseldorf. In Russia, a San Pietroburgo vi sono circa 85 mila manoscritti del Corano in 65 lingue orientali, alcune della quali oggi morte. Per quanto riguarda l’Italia, in mancanza di spazi appositi vale la pena almeno segnalare la mostra in corso a Palazzo Reale a Milano intitolata al Fann. Arte della civiltà islamica, che raccoglie oltre 350 oggetti di straordinaria bellezza e raffinatezza provenienti da una collezione privata del Kuwait (fino al 30 gennaio). Se è vero che la cultura è un veicolo di scambio e di conoscenza, c’è da auspicare che questi musei crescano di numero e di importanza. E che magari crescano anche i musei di tradizione occidentale nel mondo islamico.
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