martedì 3 novembre 2015
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C’è un luogo dove un 'Giardino della pace' offerto dal Giappone, un mosaico settecentesco sul tema di 'Gesù fra i dottori' regalato da Giovanni Paolo II, un Crocifisso scolpito nella nuda pietra donato dall’Armenia, una stele maya inviata dalle autorità guatemalteche, una 'Piazza della tolleranza' edificata con fondi giunti da Israele, un ritratto su tela che raffigura Gandhi e un pregiato tappeto di preghiera recati in omaggio rispettivamente da India e Afghanistan, o ancora un inestimabile mosaico di epoca romana con Diana fra le fiere offerto dalla Tunisia, affiancano sculture di Giacometti, Calder, Moore e Pomodoro, non lontano da grandi opere murali di Picasso, Miró o del mozambicano Valente Ngwenya. Questo luogo è la sede parigina dell’Unesco, l’agenzia dell’Onu di cui si apre oggi la Conferenza generale, che coincide con il settantesimo anniversario della nascita dell’organizzazione internazionale specializzata nei campi dell’istruzione, della cultura e della scienza, ma nota pure per annoverare un numero di Stati membri superiore a quello delle stesse Nazioni Unite. In questo 2015 macchiato sul piano culturale anche dalle devastazioni di siti archeologici a opera del terrorismo jihadista, l’Unesco ha approvato (nella sede del suo Consiglio esecutivo) una risoluzione italiana che apre la strada a futuri 'caschi blu' del patrimonio in pericolo. Ma sul piano simbolico, suscita interesse pure un’altra iniziativa legata al compleanno dell’istituzione nata con la convinzione che è «nello spirito degli uomini che devono essere innalzate le difese della pace». Lo 'scrigno' dei doni ricevuti in 70 anni dal mondo intero, una collezione in gran parte 'spontanea' di oltre 600 opere, viene finalmente presentato in volume. Il ponderoso Art for peace, curato dal fotografo ed editore austriaco Lois Lammerhuber, è un sapiente ibrido fra un catalogo (incompleto) e una galleria virtuale.Si tratta della collezione d’arte più importante nelle mani della 'comunità internazionale'. A ispirarla, spesso, è proprio il concetto sfuggente di quella pace variamente interpretata lungo i secoli. Una pace che, al di là dei singoli temi delle opere, pare veicolata pure dal 'metodo' di costituzione del fondo: dopo le acquisizioni dei primi anni, una valanga di doni recati dai governi o direttamente da artisti di fama. In passato, l’Unesco aveva già affrontato l’idea di un mutuo nutrimento fra arte e pace. Su impulso dell’organizzazione, ad esempio, anche le associazioni italiane aderenti alla rete dei club Unesco si sono lanciate nella scelta di patrimoni artistici 'messaggeri di una cultura di pace'. Liste spesso ricche di monumenti o opere del patrimonio cristiano, scelte dalla società civile con modalità del tutto slegate da quelle del ben più celebre 'patrimonio mondiale dell’umanità', promosso invece soprattutto da istituzioni politiche, a livello nazionale e locale.Ma a rendere molto suggestiva l’eterogenea collezione appena presentata in volume è, fra l’altro, il fatto che dietro non ci sia un vero 'progetto'. Di cosa si tratta, allora? Di un embrione simbolico di future globalizzazioni 'alternative' basate sul dono? Di una 'buona risposta' alle distruzioni nichilistiche mediorientali? Di un luogo sui generis, diverso dai monumenti che interpretano già in molti Paesi il tema pacifista? Della quintessenza di qualcos’altro? A Parigi, la domanda interroga il mondo intellettuale. A cui non sembra bastare l’interpretazione fornita dalla bulgara Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco: «Ogni opera è uno specchio della diversità culturale del mondo. Ciascuna esprime le aspirazioni del genio umano. Uno stesso sogno le unisce: quello di raccogliere in uno stesso e unico perimetro delle opere di tutti i Paesi del mondo, come un emblema della solidarietà morale e intellettuale dell’umanità e il modo di realizzarla».
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