giovedì 3 aprile 2014
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«Cancellata la storia dell’arte dalla scuo­la ». Una bufala, per fortuna, che rimbal­zava in rete grazie ai social network nelle scorse settimane e non del tutto arrestata. Eppure la levata di scu­di è servita. Perché se le discipline storico arti­stiche non sono sparite dalle aule certo non godono di ottima salute. E il falso allarme ha contribuito a riportare l’attenzione su un in­segnamento che in Italia – anche se è un’altra bufala quella per cui avremmo la maggior par­te del patrimonio mondiale (è un fatto ogget­tivo: non esiste un inventario mondiale dei be­ni culturali, nemmeno il nostro Paese ne ha u­no completo) – dovrebbe essere scontato. Eppure non lo è. Almeno dal 2008, quando la riforma Gelmini all’ordine «meno ore, più ap­profondimento » ha ridotto l’orario complessi­vo di tutti gli indirizzi di studio. La nostra ma­teria è stata una delle più intaccate. Ridotta Sto­ria dell’arte nei licei artistici e cancellata dai bienni del classico, dove era stata introdotta grazie alla legge Brocca (ma è stato aumentato lo storico esiguo monte ore del triennio). Can­cellate Disegno e storia dell’arte dai bienni e Disegno nei trienni dei licei delle scienze uma­ne e linguistici, mentre in quello sportivo le ma­terie sono assenti del tutto. Colpiti anche gli i­stituti tecnici dove la disciplina aveva un ruolo centrale, come nel Turistico. Ecatombe nei pro­fessionali: cancellata da corsi come Alberghie­ro- Turistico, Grafica e comunicazione e Tecni­co dell’immagine fotografica; via le sei ore per l’indirizzo Moda. Aboliti del tutto gli Istituti d’ar­te – i geometri, che pure hanno tanto peso nel­le sorti del territorio italiano, non l’hanno mai studiata, anche prima della riforma. Tentativi di recuperare il terreno perduto non sono mancati, ma senza successo. Ai primi di febbraio, il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza aveva dichiarato di stare «la­vorando per inserire di nuovo ore di storia dell’arte con un programma ad hoc », ma il progetto si è arenato con la caduta del go­verno Letta. «Carrozza si era impegnata già a dicembre sul fatto che il 2014 sarebbe stato l’anno per riprogrammare l’educazione al­l’arte, non solo la storia ma anche la pratica» conferma  Marinella Galletti, presidente di Artem Docere, giovane associazione nazio­nale che raccoglie docenti di Storia dell’arte e di Disegno. «Eravamo stati invitati ai tavoli tecnici di febbraio – spiega – il percorso sta­va per partire. Ora è tutto incerto. E alcune premesse di questo nuovo corso non ci con­vincono». Più aperta invece la posizione di Anisa, associazione che dal 1951 raccoglie gli insegnanti di storia dell’arte. «È presto per ca­pire cosa farà il nuovo ministro ma siamo fi­duciosi – commenta la presidente  Irene Bal­driga  –. Questa polemica tardiva ha avuto il merito di evidenziare un senso identitario e un’esigenza formativa da parte degli italiani. È questa la leva giusta per sollecitare le deci­sioni dei politici». Artem docere è particolarmente critica con la riforma Gelmini: «La didattica dell’arte è uno degli strumenti privilegiati per creare nei cit­tadini consapevolezza di sé, della propria sto­ria e del territorio. Ma c’è anche un dato prati­co. La scomparsa degli Istituti d’arte, ad esem­pio, ha eliminato la formazione di figure dota­te di abilità e competenze pronte per il mercato del lavoro nel settore dell’artigianato artistico, e di cui le aziende territoriali già avvertono la mancanza». Spesso in questi frangenti si cita la Francia, dove Sarkozy nel 2008 ha introdot­to l’insegnamento dell’arte fin dalle elementari. Dimenticando però che prima era pratica­mente assente. «Attualmente, secondo dati del­l’agenzia europea Eurydice, in termini di ore l’I­talia è al livello francese – sostiene Galletti – in coda all’Europa. In Finlandia, dove il patrimo­nio è soprattutto naturale, l’educazione all’ar­te è presente in tutti gli indirizzi come obbli­gatoria e incrementabile. Anche Germania e Spagna sono più competitive rispetto all’Italia». Il problema dell’insegnamento della storia del­l’arte però può essere letto nel quadro più am­pio del 'declino' delle materie umanistiche. La logica della riforma, secondo Baldriga «era quella di un efficientismo poco attento allo spessore. Si usava molto il termine 'raziona­lizzare'. In parte era un’esigenza concreta, dal­l’altra l’elemento risparmio è stato considere­vole. Rispondeva al consolidamento dell’i­struzione tecnica a scapito delle materie u­manistiche.  Ma rispetto a questo c’è stata una riflessione. Si è aperto il dibattito sulla qualità e l’importanza degli studi umanistici per temi come democrazia e sviluppo sostenibile. È u­na discussione internazionale che comincia a fare breccia anche in Italia». La diatriba 'pra­tica contro teoria' potrebbe aver quindi toccato la Storia dell’arte. A torto: «La scuola – spiega Baldriga, che è anche dirigente scolastico del Liceo classico Virgilio a Roma – deve essere più pratica senza rinunciare ai contenuti. Certa­mente era molto teorica l’idea della storia del-­l’arte del liceo gentiliano, in cui la storia dell’arte era componente ancillare della formazione della classe dirigente. Ma è un’idea antiquata. La storia dell’arte attuale si presta bene alla di­dattica per competenze, tipica della moderna pedagogia, a partire ad esempio dall’insegna­mento in lingua straniera. È anche una mate­ria ideale per l’alternanza scuola-lavoro: tiro­cini presso musei, biblioteche, archivi, siti ar­cheologici incontrano l’entusiasmo degli stu­denti».
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