mercoledì 6 aprile 2016
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«Se vedi una persona saggia, va’ di buon mattino da lei, il tuo piede logori i gradini della sua porta» (Sir 6,36): le parole del Siracide evocano la gratitudine e il rimpianto di quanti – studenti, discepoli, professori – hanno bussato alla porta di Armando Rigobello. Per quanto mi riguarda, non solo a Roma, dove il professore ha abitato dal 1974 fino alla morte, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 aprile, ma prima ancora a Perugia. In un’università in cui i sussulti della contestazione continuavano in forme di occupazione selvaggia, ricordo seminari alternativi, rigorosi e coinvolgenti, nei luoghi più diversi, oltre all’incontro in piccoli gruppi nella sua casa, dove si leggevano i dialoghi di Platone fino a tarda notte e si tornava con il brivido di panorami inesplorati, che facevano assomigliare lo studio della filosofia a un’autentica vocazione. Formatosi all’Università di Padova, Rigobello accoglie da Luigi Stefanini la sensibilità speculativa per la centralità della persona e una capacità d’intrecciare l’eredità classica con istanze del pensiero moderno e contemporaneo. Dopo un breve periodo d’insegnamento nei licei e un soggiorno di studio a Monaco di Baviera, Rigobello consegue nel 1958 la libera docenza e insegna, dal 1963 al 1974, Filosofia morale all’Università di Perugia. Passa quindi a Roma Sapienza e, nel 1982, alla sede di Tor Vergata. Ha insegnato a lungo alla Lumsa di Roma, dove è stato anche rettore. L’elenco degli impegni in società filosofiche e istituzioni pubbliche (giovanissimo vicesindaco di Badia Polesine, dov’era nato nel 1924, fino a membro del cda Rai, sotto la presidenza di Paolo Grassi) sarebbe lungo e non darebbe ragione delle motivazioni più intime del suo percorso; un percorso segnato dall’impegno giovanile in Azione Cattolica, in ambito diocesano e regionale, negli anni in cui Mario Rossi prendeva il posto di Carlo Carretto. Una figura, quest’ultima, che Rigobello ritroverà nell’eremo di Spello, dove si andava spesso, insieme. Grazie alla sua ricerca, in dialogo con la cultura francese e tedesca, Rigobello diventa ben presto una figura di spicco nel panorama filosofico contemporaneo: il suo primo libro su Mounier (1955) apre il confronto fra personalismo francese e quello italiano. Ma l’attenzione alla persona rifugge da una facile retorica spiritualistica; inizia da qui un movimento all’indietro, verso la matrice socratico-platonica e agostiniana, e in avanti, attraverso un confronto rigoroso con Kant: la sua opera I limiti del trascendentale in Kant (1963, tradotta in tedesco nel 1968) alimenta studi importanti sul trascendentale e sulla nozione di “regno dei fini”. Dalla riconsiderazione del mondo della vita, grazie a un vivo interesse per la fenomenologia, scaturisce un’opera fondamentale, Legge morale e mondo della vita (1968), al centro di corsi memorabili negli anni della contestazione. Il trasferimento a Roma coincide con nuovi approfondimenti: dal grande volume Dal romanticismo al positivismo (1974) a una finissima ricerca sulla filosofia francese contemporanea, tra Sartre e Camus ( L’impegno ontologico, 1977), mentre le tematiche morali accompagnano una rilettura dell’identità propria della ricerca filosofica ( Il futuro della libertà, 1978; Perché la filosofia, 1979, tradotto in tedesco nel 1999 e in spagnolo nel 2000; Certezza morale ed esperienza religiosa, 1983; Kant. Che cosa posso sperare, 1983; L’immortalità dell’anima, 1987). Il rapporto tra analisi interiore e struttura trascendentale ( Oltre il trascendentale, 1994) si apre a una riflessione intorno alla condizione umana, in cordiale interlocuzione con Paul Ricoeur ( Autenticità nella differenza, 1989; L’estraneità interiore, 2001). Negli ultimi anni Rigobello scrive piccoli libri, che rivisitano i suoi temi, secondo una lucida essenzialità teoretica (da L’apriori ermeneutico, del 2007, fino all’ultimo, del 2014: Dalla pluralità delle ermeneutiche all’allargamento della razionalità). Nel punto d’incontro fra una filosofia restituita a un’essenziale vocazione platonica e una fede cristiana accolta come originaria donazione di senso, la persona emerge, oltre ogni cattura rappresentativa, solo attraverso approcci stringenti e mai esaustivi, mentre la relazione intersoggettiva è chiamata a un’ineludibile responsabilità morale: il difficile cammino della ricerca genera solidarietà comunitarie da vivere storicamente nell’arduo esercizio della testimonianza, intesa da Rigobello come «un’epifania di verità che si è fatta consapevolezza interiore del testimone». In un’epoca in bilico tra antiche suggestioni biocentriche e nuovi miraggi postumani, questo messaggio ci appare oggi ancor più prezioso e profetico. Essere testimoni di una grande verità, professata in punta di piedi, con una discrezione tenace e appassionata, è forse il modo più alto di essere maestri. © RIPRODUZIONE RISERVATA Armando Rigobello
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