giovedì 12 novembre 2015
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«È stato Lei ad affidarmi, molto tempo fa, il compito di scrivere questa monografia e di questo Le sarò sempre grato e mi terrò sempre onorato. Questo mi pare tuttavia non comporti, da parte mia, rinunzia alle mie idee, perché in tal caso non avrei mai accettato questo compito…concepisco un libro su un artista in termini di interpretazione della sua attività attraverso un racconto critico: racconto e confronto…da tempo ho rifiutato i presupposti della critica idealistica…» passi della lettera – 12 novembre 1961 – scritta da Francesco Arcangeli al pittore Giorgio Morandi. Il pittore, all’apice della fama, e del mercato, non tollera che la sua esperienza sia storicizzata-relativizzata, rifiuta gli esiti di una monografia “contaminata”. Per il giovane storico dell’arte è l’occasione di una riformulazione di quella vicenda artistica nel Novecento, ed è insieme “confronto con il padre”, una resa dei conti edipica. Negli anni Sessanta del secolo scorso, si consuma a Bologna il rapporto tra due generazioni prendendo la forma-scandalo di un libro negato. Morandi rifiuta il Morandi di Arcangeli, il libro – capolavoro della letteratura d’arte del secolo – sarà comunque nelle edizioni milanesi de “Il Milione” e poi nella collana dei saggi di Einaudi. Il brano della lettera a Morandi innesta il principio di tutto il lavoro critico di Arcangeli, cioè che l’opera è a fondamento di ogni lettura, di ogni analisi critica, il testo è prima e sopra ogni “contesto”, non sottraibile all’individuo- autore. Ricorre quest’anno il centenario della nascita dello storico dell’arte e critico militante (Bologna 19151974) e sono convegni promossi da ex-allievi, giornate di studio nell’università felsinea dove insegnava, pubblicazioni in corso (il prossimo anno usciranno le lezioni universitarie 1967-1972 per i tipi del Mulino, i saggi di arte contemporanea Dal romanticismo all’informale in nuova redazione), mostre di pittura allestite e in programma quale omaggio al critico militante. Se vi è nel Novecento una generazione-generante, di “padri”, è quella passata attraverso la guerra e la Resistenza, la scrittura della Costituzione e la fondazione della Repubblica. Generazione subito in eclisse, subito all’anno zero, via via consapevole delle profondità distruttive subite – l’olocausto atomico, i campi di sterminio – e dentro la “guerra fredda”. I pittori di quegli anni su cui scrive Arcangeli sono Wols, Pollock, De Staël. Una generazione perduta. Francesco Arcangeli è una delle coscienze più interne a quella generazione di crisi, un “testimone negativo” scrive di se stesso, per una parabola tanto breve quanto intensa. Roberto Longhi – in cattedra per la Storia dell’Arte a Bologna negli anni Trenta e Quaranta – è il riconosciuto maestro, con lui si laurea nel 1937 e di cui sarà a lungo assistente. Nel 1948 con il saggio L’impressionismo a Venezia (“La rassegna d’Italia”, 1948) è premio della Biennale per la critica. Replicherà, su “La rassegna” nel 1949, con Poeti e pittori di Francia 1865-90 rompendo le categorie settoriali. L’originalità della fisionomia critica di Arcangeli inizia per l’arte contemporanea con i saggi sulla pittura francese – Courbet, l’ultimo Monet e poi Soutine – e i romantici inglesi, prima Constable e sopra tutti Turner. Cadenze e protagonisti di un percorso d’arte in cui si rigetta la nozione di Storia come “progressione” – essa è piuttosto un ossimoro – e si avanza come risorsa dell’uomo la natura, l’habitat di appartenenza. Idee che si riconoscono nella rivoluzione informale della pittura sua contemporanea e a cui darà assetto teorico con i saggi Gli ultimi naturalisti e Una situazione non improbabile, entrambi su “Paragone” nel 1954 e nel 1956. Pittori di riferimento Morlotti, Moreni, Mandelli della generazione di Arcangeli e i più giovani Vacchi e Bendini. Autonomo è anche il percorso dello storico dell’arte. Inizia con i saggi su Wiligelmo ed il romanico emiliano, per proseguire con Vitale da Bologna, Amico Aspertini, Ludovico Carracci, Giuseppe Maria Crespi finalmente insieme, nel 1970, nella memorabile mostra all’Archiginnasio di Bologna Natura ed espressione nell’arte bolognese- emiliana.  La rassegna sfonda sui contemporanei assimilando Giorgio Morandi alle proprie cadenze. Ed è questa un’altra costante del lavoro di Arcangeli, ciò che lui intende come lavoro del critico: l’incessante campitura dall’arte medievale al moderno – da Wiligelmo e dai serti vegetali romanici al dripping di Jackson Pollock – in un tramando “dei corpi e degli spazi” secondo il sistema per cui: «aveva la stessa maniera a studiar autori antichi che contemporanei ». La stessa passione. Arcangeli fa della storia dell’arte “campo vivo e aperto”, ove agisce e si accende per incontri emotivi – per “consanguineità” – la natura del critico che vi si applica, si riconosce l’individuo dell’area culturale cui appartiene. Impegno che espone, quando riceve il premio Fetrinelli per la critica d’arte nel 1969, con la prolusione a titolo Uno sforzo per la storia dell’arte che ha dato il titolo anche alla raccolta di scritti “inediti e rari”, curata da Luca Cesari e uscita nel 2004 per le edizioni Mup dell’Università di Parma.
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