mercoledì 5 novembre 2014
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Se Paolo Sollier, il centravanti dal “pugno chiuso” volesse aggiornare il suo libro manifesto degli anni ’70 Calci e sputi e colpi di testa, il protagonista principale non sarebbe più un calciatore, ma un giovane arbitro italiano, magari di colore. In questo autunno rovente per il nostro pallone si è passati dagli attacchi verbali alle violenze fisiche sui direttori di gara. Solo nell’ultima settimana, tre arbitri aggrediti, di cui due minorenni. Qualcuno leggendo la vicenda dell’arbitro 17enne Luigi Rosato, minacciato addirittura di morte via facebook, dopo le aggressioni subite durante la gara Atletico Cavallino- Cutrofiano (Seconda categoria), forse avrà pensato che si trattava di un caso limite, magari isolato. Illusi, colti in pieno fuorigioco. Solo nel mese di ottobre sono stati 30 i casi di violenze contro gli arbitri, molti dei quali minorenni, spesso coetanei degli stessi giocatori, i quali rappresentano il 64% dei “picchiatori” dei poveri direttori di gara. Il resto del lavoro molto sporco lo fanno dirigenti e genitori. Come nel caso dell’altro arbitro pugliese, Lucio Del Sole, 18 anni, malmenato a Montesano Salentino da un 50enne, papà di un calciatore, durante Tricase-Sogliano Cavour (Giovanissimi). Del Sole e l’arbitro 16enne di Lecco aggredito a Calolziocorte durante Victoria-Polisportiva Foppenico (Allievi), oltre al referto arbitrale hanno presentato anche quello medico rilasciatogli dall’ospedale in cui gli hanno diagnosticato rispettivamente 3 e 5 giorni di prognosi. Unica nota lieta di queste giornate di ordinaria follia sono state le lacrime del 14enne calciatore che rivolgendosi all’arbitro Del Sole gli ha detto solidale: «Mi scuso per mio padre... ». Il mondo adulto oltre alla testa ha perso anche la dignità: dal 2009 alla stagione calcistica 2013-2014 sui nostri campi si sono verificati 2.323 episodi di violenza contro gli arbitri. Una cifra drammaticamente da “primato mondiale” che va a sommarsi a quella dei 109 casi di direttori di gara che sono dovuti ricorrere alle cure sanitarie. Nella deriva in cui siamo, l’Aia (Associazione italiana arbitri) ha dovuto creare un Osservatorio ad hoc. Sotto stretto controllo soprattutto il movimento che rimane all’ombra dei riflettori del grande calcio: la maggioranza dei 375 episodi di violenza registrati nell’ultima stagione hanno avuto come teatro partite di tornei giovanili e dilettantistici. La Serie A, come insegna il pandemonio conseguente alla direzione di Juventus- Roma dell’arbitro Rocchi (si è arrivati alle interpellanze parlamentari), non dà certo il buon esempio, e l’immagine delle “giacchette nere” viene continuamente infangata. E questo, nonostante la nostra scuola arbitrale sia ancora riconosciuta a livello internazionale come la migliore.  Non a caso il designatore Uefa è l’ex fischietto d’oro Pierluigi Collina che, dinanzi al fenomeno dell’escalation violenta, ha commentato amaro: «Mai stato picchiato. E sono stato fortunato, non bravo». Collina ha anche viaggiato sotto scorta. Tutto ciò è accaduto in un Paese in cui non abbiamo mai avuto arbitri palesemente corrotti come l’ecuadoregno “castigaItalia” Byron Moreno. (Mondiali di Corea-Giappone 2002). In un secolo e più di storia della vituperata - ingiustamente - categoria (l’Aia è nata nel 1911), si ricordano solo due casi di corruzione acclarata: quelli dei signori Pera e Scaramella, arbitri che negli anni ’40 incassarono assegni per aggiustare il risultato. Vicende distanti anni luce da una realtà odierna, in cui il “capro espiatorio” è diventato il “23° in campo”, il temuto e odiato uomo nero. Quando oltre alla divisa, è nera anche la pelle dell’arbitro, si verificano reazioni assurde, tipo quella che ha visto protagonista in negativo un ex calciatore di Serie A, il bomber Emiliano Bonazzoli. Il 35enne attaccante ora in forza all’Este (serie D) si è beccato dieci giornate di squalifica in quanto il 28 settembre scorso al termine della gara contro la Correggese si era rivolto con epiteti di «discriminazione razziale» nei confronti dell’arbitro Ramy Ibrahim Kamal Jouness, medico di Torino di origini marocchine. «Quello di Bonazzoli è stato il primo episodio della stagione in corso, ma nella scorsa sono stati 8 i casi di discriminazione razziale contro arbitri romeni e di colore, e tutti si sono verificati tra i dilettanti», spiega il sociologo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio sul razzismo e antirazzismo nel calcio. Mentre i calciatori “G2”, gli italiani figli di stranieri, da Balotelli a El Shaarawy fino ad Ogbonna hanno conquistato le luci della ribalta, di “G2” direttori di gara in Serie A neanche l’ombra. «Questo la dice lunga – continua Valeri –, del resto anche nella multietnica Francia il primo arbitro nella massima serie è comparso solo un paio di anni fa». Si trattava del signor Silas Billong di Lione, classe 1974, origini camerunensi, arbitro di terza divisione chiamato a dirigere Nizza-Lens, ma soltanto perché era la domenica in cui i suoi colleghi della Ligue1 scioperavano. E anche il presidente dell’Aia Marcello Nicchi, visto il dilagare delle angherie di cui sono vittima i suoi associati, minaccia sciopero. «La Federcalcio deve dare risposte concrete altrimenti ci fermiamo, a partire dalla Serie A». Per discriminazione razziale si può anche interrompere la partita, ricorda la Uefa, ma quella contro l’arbitro finora ha prodotto un solo stop, però in Olanda. Da noi nel 2007 a dire «basta» ci aveva provato il signor Slimane Ouakka della sezione di Rimini: durante Argenta- Forlì (serie D) dopo ripetuti insulti razzisti e uno schiaffo ammollatogli da un difensore dell’Argenta, riportò le squadre negli spogliatoi. Logica avrebbe voluto il 3-0 decretato a tavolino in favore del Forlì, mentre il giudice sportivo optò, clamorosamente, per la ripetizione della partita. «L’apertura dell’Aia ai figli di stranieri o a quelli residenti in Italia portata avanti negli ultimi anni è stata molto importante, ma questi ragazzi vanno sostenuti e tutelati con delle campagne di sensibilizzazione mirate, altrimenti continueremo a vedere bravi arbitri, uomini e donne, che stanchi di sentirsi discriminati per il colore della pelle o per la loro etnia, mollano proprio quando potrebbero decollare verso quel professionismo che, ad oggi, rappresenta un miraggio», denuncia Valeri. Cattivi pensieri di abbandono comuni a ragazzi come il romeno Marian Bogdan Vamanu, insultato sul campo del Real Casal (Promozione lombarda) dai tifosi in trasferta del Calcio Rudianese. «Vamanu – conclude Valeri – è della sezione di Cremona, la stessa di Chaida Sekkafi, la 16enne di origine marocchina che ha debuttato lo scorso anno. È stato il primo arbitro con il velo in testa... In un momento come questo proviamo a non distruggere la speranza». 
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