domenica 18 ottobre 2015
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In una dimensione dove il surreale si alterna alla riflessione più profonda, Giacomo Poretti approda al romanzo, con una storia che riflette sul tema del Paradiso e dell’Aldilà, in un modo anticonvenzionale. Infatti quello che ci racconta è un Paradiso immaginato, seguendo le domande dell’uomo contemporaneo, sempre più confuso sia sulla dimensione della fede, sia su quella dell’entità dell’eterno. Di fronte alla domanda sul perché Dio abbia creato la vita e alla constatazione che «suscitando la vita con la libertà che ci ha accordato», creando «la possibilità del dolore immenso e terribile: lo spavento metafisico, la sorpresa che sgomenta e atterrisce», Poretti indaga tutta una serie di interrogativi che nascono, non tanto in relazione a chi lo incontra nella fede, risolvendo l’enigma e quindi pacificandosi nella speranza del Paradiso, ma che riguardano chi non riesce ad arrivare a questo dono, perché troppo debole o fragile, e si chiede se il suo destino è quello di rimanere per sempre «dentro al dolore cieco e soverchiante». Nel romanzo  Al Paradiso è meglio credere, in uscita martedì per Mondadori (pp.120, euro 17,50), Giacomo Poretti affronta questi temi alti con un tocco brioso, attraverso una storia che si svolge in un futuro prossimo, nel 2053, quando Antonio Martignoni, vittima di un incidente stradale, si ritrova in Paradiso, dove lo segue una signora affascinante e dove un burocrate celeste, che ha i tratti nientemeno di Jean-Paul Sartre, gli pone numerose domande. A lui sarà affidato un compito particolare, quello di mettere per iscritto su un file, in un tempo dove l’uso della scrittura manuale è proibito, la storia della sua vita; un racconto, il suo, destinato agli uomini rimasti su una Terra arrivata ai limiti della desolazione. Infatti il testo è destinato a diventare uno dei tanti 'messaggi in bottiglia' lanciati dal Cielo per gli uomini che sono rimasti nella condizione di dolore e di impossibilità a risolvere l’enigma dell’esistenza. Il file viene ritrovato, nascosto in un vecchio computer, e la sua lettura ci rivelerà il vero volto del Martignoni, un uomo che dopo i trent’anni, stanco della vita, dopo un’ultima passeggiata in montagna, testimone di un tragico incidente, viene colto da una profonda nostalgia della fede, dal desiderio di «spiare Dio da vicino». Non ha dubbi perciò quando sceglie di assumere la nuova identità del sacerdozio pur nella consapevolezza di essere un finto prete, colto da tanti sensi di colpa, prima come parroco in un paesino ai piedi del Monte Rosa e poi in una Milano tormentata, misteriosa, dove improvvisamente iniziano a scomparire le persone anziane. Non raccontiamo di più: lasciamo al lettore la possibilità di scoprire il sorprendente finale di una storia che sembra guardare, in un’ottica tutta italiana, agli esempi del Lewis delle Lettere di Berlicche,  ma anche con echi che vanno nella direzione dell’ultimo Evelyn Waugh, dove un certo sarcasmo viene risolto con benevola leggerezza.
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