venerdì 6 maggio 2016
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Il rigore della felicità VENEZIA Neppure una decina d’anni. Eppure è stato un periodo cruciale per la nascita e l’affermazione di quella che Maurizio Fagiolo dell’Arco aveva definito “figurazione novissima”. Lo prende in esame la mostra Imagine. Nuove immagini nell’arte italiana 19601969 (catalogo Marsilio) allestita alla Collezione Guggenheim di Venezia a cura di Luca Massimo Barbero che si prefigge di offrire una possibile e in qualche misura inedita lettura del nuovo vocabolario di segni e immagini che caratterizzò le sperimentazioni artistiche nell’Italia che aveva imboccato la strada della rinascita economica. L’atmosfera che si respirava e la vitalità creativa di quegli anni si possono intuire da un quadro (non presente in mostra) del 1969 di Tano Festa dal titolo Il clima felice degli anni Sessanta. Nella tela è dipinta una griglia nera su fondo bianco entro la quale sono riportati i nomi di rigorosissimi artisti di area milanese che rappresentano la tendenza all’azzeramento, allo scarto minimale, a un’attitudine mentale (Piero Manzoni, Enrico Castellani), insieme ad altri di ambiente romano che hanno popolato la loro opera di immagini e hanno dato spessore concreto ai loro lavori fino ad avventurarsi nella ricerca oggettuale (Francesco Lo Savio, Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli). E se di Manzoni e Castellani se ne è occupato due anni fa con la mostra Azimut/ h, ospitata sempre al Guggenheim, oggi Barbero riflette su ciò che accadeva a Roma e a Torino, città dove prendeva forma l’idea di un nuovo sistema di rappresentazione. Impostando l’esposizione su un calibratissimo numero di opere e un manipolo non ecumenico di protagonisti, Barbero è molto attento a non fornire un percorso espositivo che possa apparire scontato (pericolo incombente a causa di quelle che il curatore definisce “ortodossie”, presenti nel periodo preso in esame). Dunque i lavori scelti, che nella loro stragrande maggioranza hanno circolato molto limitatamente, non di rado, anche in virtù di un allestimento impeccabile, rappresentano uno shock visivo. Succede, per esempio, appena si entra nella sala “nera” che ospita alcune sontuose opere di Angeli, quelle velate da garze che fanno solo faticosamente scoprire i simboli della storia di Roma (la lupa) e del potere (la svastica). Così come è sempre un gran bel vedere, dopo la “calda” accoglienza in apertura di mostra della Margherita di fuoco del 1967 di Jannis Kounellis, quelle opere di Schifano che non sono le solite palme o lo stravisto marchio della Coca-Cola (ci sono, per esempio, un superbo, piccolo monocromo nero e alcuni grandi tele dalla inconsueta dominante azzurra). Poi s’incrociano i Filtri e i Metalli di Lo Savio, gli Schermi di Fabio Mauri, l’attrazione verso la storia dell’arte che traspare dalle opere di Giosetta Fioroni ( Particolare della nascita di Venere, 1965) e il richiamo alla classicità cui rimandano le immagini concettuali di Giulio Paolini ( Poussin che indica gli antichi come esempio fondamentale, 1968). E mentre il mondo del cinema e dei nuovi centri di aggregazione giovanile trovano eco rispettivamente nei riporti fotografici di Mimmo Rotella ( Posso?, 1963-65) e nei collage di Mario Ceroli ( Studio x Piper, 1965), ecco l’universo di immagini lenticolari di Domenico Gnoli ( Due dormienti, 1966) impegnate a rintracciare nel quotidiano l’esperienza del vuoto e dell’assenza. Immagini che diventano oggetti e superano la semplice rappresentazione con Pino Pascali ( Decapitazione del rinoceronte, 1966) e Michelangelo Pistoletto del quale vengono presentati alcuni rari Plexiglass del 1964 e la Rosa bruciata del 1965 che chiude il percorso espositivo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Venezia, Collezione Guggenheim IMAGINE Nuove immagini nell’arte italiana 1960-1969 Fino al 19 settembre Venezia Al Guggenheim una rassegna indaga un decennio fondamentale – quello del boom – per gli artisti italiani, fuori dagli stereotipi che hanno segnato le letture critiche A sinistra, l’“Autoritratto” di Giulio Paolini; a destra, l’opera “Drive in house” realizzata nel 1960 da Fabio Mauri Nel colonnino, “Veleggiando verso la post-storia” di Braco Dimitrijevic
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