mercoledì 24 settembre 2014
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​Il giovane pianista Giuseppe Andaloro, tra le pagine scure e le pagine chiare della vita, si comporta come con il pianoforte: lo accarezza leggero, ma al “presto con fuoco” spinge sui tasti, bianchi e neri, in modo magistrale, così che mai nessuna orchestra debba “coprirlo”. Nel nostro Paese il sistema, assai poco meritocratico che impera anche nelle arti, ad oscurarlo ci ha provato. E con lui chissà quanti altri talenti incompresi... Il giovane pianista ha appena terminato l’impresa, l’esecuzione di Cajkovskij, Concerto per pianoforte e orchestra n. 2 (versione Siloti), e alla fine la Scala viene giù. Un tripudio. Dieci minuti di applausi scroscianti con richiesta di bis – Preludio n. 4, in re maggiore op. 23 di Rachmaninov –. E il giovane pianista, accompagnato per la prima volta dall’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi diretta dal “folletto rosa” Zhang Xian, al debutto nel tempio della classica ringrazia commosso. Dietro le quinte però si scopre che il pianista non è poi “così giovane”: Giuseppe Andaloro ha trentadue anni. Siciliano di Delia, borgo di tremila abitanti nel nisseno («Il primo concerto ad otto anni l’ho tenuto lì, nella piazza del mio paese»), prima di arrivare alla Scala ha dovuto fare il giro del mondo. «Mentre in Italia venivo praticamente ignorato ho suonato in settantun Paesi, isole caraibiche comprese. La mia carriera sin qui mi ha visto passare da flop incomprensibili quanto immeritati a straordinari successi». Si ferma un attimo, sgrana gli occhi e riattacca: «Fin da bambino ho sempre detto: un giorno sono sicuro, salirò sul palco della Scala e farò sentire la mia musica».Una profezia che sembrava a portata di mano quando, diciottenne, Andaloro mieteva consensi e vittorie ai concorsi internazionali dei cinque continenti. Poi tre anni in cui il telefono non squillava più e neppure l’ultima sala della nostra remota provincia lo richiedeva per un concerto. «Ho anche pensato di abbandonare questa grande passione che a me e mia sorella Esther, che fa la cantante lirica, hanno trasmesso fin da piccoli i nostri genitori. Non sono musicisti, ma hanno accompagnato sempre questo mio grande sogno». Per realizzarlo il ragazzino, che a sedici anni eseguiva a memoria l’integrale di Mahler, d’estate con papà Franco e mamma Rosalba si faceva «otto ore d’auto fino a Lamezia Terme, per frequentare la master class del maestro Sergio Fiorentino. Lezioni fondamentali, apprese da un pianista geniale, molto apprezzato anche da Benedetti Michelangeli». Altra pausa andaloriana: «La morte di Fiorentino nel 1998 per me è stato un trauma».
Meno traumatica la salita a Milano per diplomarsi al Conservatorio e poi il perfezionamento al Mozarteum di Salisburgo. Era l’inizio della falsa partenza, culminata nel triennio 2002-2005: primo posto ai concorsi di Sendai, di Londra e al premio Busoni di Bolzano. Era nata una stella che però, nel silenzio del mercantificio italico, stava per cadere. Così è stata costretta a seguire la sua scia verso Oriente. «Negli anni di buio italiano, Hong Kong è diventata la mia seconda casa. Da Tokyo a Pechino ho avuto l’onore di esibirmi in teatri e auditorium, come questo della Verdi, calorosissimi – sgrana gli occhi scintillanti –. Lì c’è tanta fame di musica classica e un pubblico giovane che ha orecchio attento e fa la fila al botteghino per ascoltare il mio pianoforte». Ma dalla Cina sono arrivate orde di musicisti. «I cinesi ci hanno “mangiato”, lo dico senza ombra di pregiudizio. In Cina sfornano continuamente centinaia di presunti fenomeni che vengono facilmente introdotti in Europa da manager spregiudicati che cavalcano l’esotismo». Dell’improvviso quanto meritato rilancio in casa nostra, Andaloro ringrazia i due agenti fiorentini, Mario Giovanni Ingrassia e Dario Mannino, che puntano su questo straordinario esempio di eclettismo. «Mi piace spaziare da Cajkovskij a Rachmaninov, autore congeniale alle mie capacità. Così come è nelle mie corde la musica affascinante, e ancora poco eseguita da noi, di un autore difficile come Nikolaj Griševic Kapustin. Le sue partiture sconfinano nel jazz, che adoro, e dopo aver ascoltato la mia esecuzione Kapustin mi ha dato il suo benestare». L’eclettismo di Andaloro ha incrociato quello del violoncello magico del palermitano Giovanni Sollima, un altro in grado di mettere in “fuga” Bach con il jazz o il rock dei Nirvana. «Giovanni è un caro amico, un virtuoso incredibile con il quale condivido l’arte dell’incontro, la libertà espressiva e il gusto di esplorare continuamente il variegato universo musicale». Conversazioni tra siciliani.
Andaloro nel 2009 ha vinto il “Premio Vittorini”, mentre l’ultimo viaggio nel tempo lo ha portato a toccare la musica del tardo Rinascimento – Palestrina, Psquini, Gabrieli, Frescobaldi – eseguita per la prima volta al pianoforte nell’ultimo disco Cruel Beauty (Sony), registrato a Sacile, in “Casa Fazioli”. «Un luogo dove sapevo che avrei raggiunto le giuste sonorità. Prima di me solo Glenn Gould si era cimentato con la musica del Rinascimento: ma quella degli inglesi, Bird e Gibbons». Orgoglio del pianista, finalmente in ascesa, che dal suo piano invita a resistere: «Questi sono anni in cui la mia generazione è condannata a una condizione che oscilla tra il precariato e il “turismo culturale”, mentre, anche nella musica siamo in tanti che lavoriamo per il bello, l’unica possibile ancora di salvezza per questo Paese».
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