sabato 24 marzo 2018
Debutterà nella cattedrale di Cremona il 26 aprile “Letizia d’amore, stelle e precipizio”, con libretto di Davide Rondoni e musica di Federico Mantovani
«Amoris laetitia» di papa Francesco diventa una cantata
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Debutterà nella cattedrale della città lombarda il 26 aprile “Letizia d’amore, stelle e precipizio”, con libretto di Davide Rondoni e musica di Federico Mantovani, traduzione in «linguaggi emotivi» del testo di Bergoglio Amoris laetitia

Sono un poeta e un musicista della contemporaneità. Vivono la stessa fede e già in passato l’hanno distillata nel connubio delle loro arti. Così a fine dicembre Davide Rondoni ha concluso un nuovo poemetto, ora Federico Mantovani ha terminato di musicarlo. E anche se stavolta la sfida era più alta che mai, il vescovo di Cremona non ha avuto dubbi nel patrocinarla: trasformare l’esortazione postsinodale Amoris laetitia di papa Francesco in una cantata per voce recitante, soli, coro e orchestra, da affidare alla collaborazione tra il Coro polifonico cremonese e l’Orchestra sinfonica dei Colli Morenici sotto la direzione dello stesso compositore.

«Un’idea estemporanea e intrigante – così l’ha accolta monsignor Antonio Napolioni, anche delegato della Conferenza episcopale lombarda a Famiglia e vita – per presentare l’amore come grande dono di Dio all’umanità». Ecco allora l’approccio musicale e poetico: «Linguaggi emotivi», considera, ma al tempo stesso potenti strumenti per «far capire che l’amore non è perfezionismo di alcuni ma travaglio di tutti». Debutterà il 26 aprile nella cattedrale di Cremona Letizia d’amore, stelle e precipizio, ma non chiedete a Rondoni perché questo titolo: «La poesia non si spiega», scandisce. E lancia la suggestione di quell’amore che è «esperienza altissima, ma anche precipitante, movimentata e rischiosa».

Così, quando il coro intona «Maschio e femmina li creò / contro la solitudine li creò», Mantovani ha già evocato nel preludio strumentale Buio di solitudine la Parola da cui cominciano a esistere la terra e il firmamento. Riecheggia dunque la Genesi all’inizio della cantata, annuncio di quell’amore che nasce ancor più in alto delle stelle e anticipo di quella poesia che il Cantico dei Cantici prima e san Paolo poi scolpiranno in pagine altrettanto immortali. Restituisce ai nostri giorni questa dolcissima e vertiginosa dinamicità il testo del Papa, che Mantovani e Rondoni nebulizzano affinché raggiunga sì la mente ma pure le più intime profondità dell’animo umano.

«La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie d’amore e di crisi familiari» ricorda il compositore, richiamando il testo di Amoris laetitia. E come l’esortazione di Francesco presenta la famiglia nella sua duplice essenza di dono divino e irrinunciabile fucina di relazioni («Non c’è legame sociale senza prima questa dimensione quotidiana»), Rondoni e Mantovani ne cantano i fondamenti teologici tanto quanto le sue dinamiche più feriali.

Così ai solisti fanno scandire «maschio e femmina li creò / contro la eterna solitudine / perché Dio solo sa / essere uno e trinità / e che nessuna creatura sopporterà / la immobile unicità», mentre poco dopo a voce recitante e coro affidano la testimonianza di quella tenerezza che «conosce tutte le durezze / le mappe del dolore / conosce bene / quando è difficile respirare». Non è mai sdolcinato l’amore che pulsa nella Cantata, e non teme la sua più grande apparente negazione: «Un padre, una madre / inchiodati nel Vangelo / li incontrasti, li incontri / l’uomo detto Giairo / la vedova di Nain».

È il mistero della morte, «dove diventano fantasmi/ padre madre e figli», e per vincere il quale tu «devi far risalire dal cuore di fuoco / della creazione / dal tuo cuore ferito / di padre madre Dio / l’inizio del mondo / l’inizio della canzone ». Solo così può vibrare quel «talità kum, talità» che alle tragedie di ogni tempo grida «alzati, alzati / dalla tua sofferenza / alzati», nella certezza che non esiste differenza tra «il figlio, l’adultera il padre, / la madre, il fratello maggiore… la disperata in mezzo alla festa / la donna dai sette mariti / il figlio che ridotto a cane / supplica un pezzo di pane»: nella preghiera conclusiva è infatti l’intera umanità – rappresentata dal simultaneo coinvolgimento di voce recitante, cantanti e coro – a pregare Dio come colui che conosce «tutte le figure dell’amore». E a chiedergli quella «profondissima letizia / luce di stelle / luce di precipizio».

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