martedì 30 agosto 2022
Il protagonista di “La notte è un posto sicuro”, film denuncia di Papasso, ha vissuto sulla sua pelle il viaggio della speranza: suo nonno lo salvò portandolo in Etiopia dopo il deserto a piedi
Una scena de “La notte è un posto sicuro”, il film denuncia sullo sfruttamento dei migranti diretto da Giuseppe Patasso

Una scena de “La notte è un posto sicuro”, il film denuncia sullo sfruttamento dei migranti diretto da Giuseppe Patasso

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Un film di denuncia per ricordare i viaggi della speranza e lo sfruttamento dei migranti a un'Italia che li ha scordati. La notte è un posto sicuro firmato da Giuseppe Papasso, di cui sono appena terminate le riprese, è interpretato da Amin Nour, uno dei primi italiani di seconda generazione afrodiscendente, e da richiedenti asilo presi dai centri di accoglienza accanto ad attori come Peppe Servillo, Alessandro Haber e Donatella Finocchiaro. Racconta le odissee degli ultimi che, nonostante siano pressoché ignorate dal circo mediatico trasferitosi in Ucraina, sono attualissime con i loro drammi, le sofferenze e le morti nascoste. Tragedie che iniziano in paesi lontani dell’Africa e proseguono sulle rotte terrestri gestite dai trafficanti fino alla detenzione nei centri libici e alla partenza verso le coste italiane. E da qui continuano verso gli altri paesi europei perché – nonostante si sproloqui di improbabili blocchi navali davanti alla Libia – quasi tutte le mete di chi cerca un futuro e la felicità sono oltralpe. Ma prima della meta si passa attraverso le forche caudine dello sfruttamento nei campi con il caporalato e in diversi altri settori di irregolari e richiedenti asilo, altra vergogna. È ambientata in questa Italia la trama del fiilm.

Hamid, ragazzo eritreo, viene salvato nel Canale di Sicilia da alcuni pescatori tra cui Natale, un anziano generoso che insieme alla moglie si prende cura del giovane e lo fa lavorare nella sua vecchia trattoria scoprendo il suo passato pieno di sofferenze e il suo sogno di raggiungere la famiglia a Basilea. Il figlio di Natale però vede nell’eritreo una minaccia e lo allontana. Il ragazzo vaga in clandestinità affrontando prima le prepotenze e le brutture del caporalato per fermarsi poi in un agriturismo sui colli bolognesi. Lì le sue doti cominciano a brillare, ma la luce si spegne all’improvviso perché c’è sempre qualcuno che vede in lui qualcosa di diverso e per questo minaccioso. Non c’è futuro in Italia per Hamid, che pure arriva da un’ex colonia italiana e avrebbe diritto all’asilo perché in fuga da una spietata dittatura. Dovrà cercarlo a Basilea. In comune con Hamid, l’interprete principale Amin Nour ha l’origine in una ex colonia italiana, la Somalia, dalla quale è fuggito per salvarsi la vita. Nato a Mogadiscio 35 anni fa, durante la guerra civile nel 1992 , vide la famiglia quasi completamente sterminata perché ritenuta filo occidentale. Amin fu salvato dal nonno che lo portò in Etiopia, insieme ai pochi familiari superstiti, attraversando a piedi il deserto di notte (l’unico posto sicuro) in una marcia di oltre 450 km scampando a numerosi pericoli e aggressioni. Il nonno, un noto giurista, rimase in Etiopia e Amin agli inizi degli anni 90 arrivò in Italia.

«Mia madre – racconta l’attore – lavorava come babysitter a Roma in una famiglia che mi accolse come un figlio. Da allora ho anche una madre e un padre, un fratello e una sorella italiani. Una famiglia allargata che è il mio esempio e forza di vita». La famiglia è quella di Maurice Bignami, ex terrorista di Prima linea dissociatosi dalla lotta armata nrl 1971 e che in carcere con la moglie ha incontrato don Luigi Di Liegro che cambiò loro la vita portandoli nel 1989 a lavorare con lui nell’ostello per senza dimora della Caritas di Roma che si occupava dei primi profughi. «Conobbi anch’io don Luigi e lo porto nel cuore, era la Caritas per me. Fu lui a suggerire di iscrivermi a Celio Azzurro, una delle prime materne interculturali d’Italia che punta sull’inclusione ». Più di 20 anni dopo Amin conoscerà un altro prete cattolico, don Mosè Zerai, con cui ha condiviso battaglie per i profughi e migranti. «Si somigliano molto lui e don Luigi », commenta. È stata la famiglia italiana a trasmettergli la passione per il cinema facendogli vedere film ogni sera.

Diplomato in agraria, Amin frequenta nel 2010 recitazione presso la Nuct (Scuola Internazionale di cinema e televisione) a Cinecittà. L’esordio sul set è in Good Morning Amandi Claudio Noce. Interprete, sceneggiatore, regista di cortometraggi a sfondo sociale e sulle tragedie dei migranti, Amin nel 2014 fonda il collettivo Neri italiani Black Italians e nel 2015 è tra i protagonisti della prima web serie incentrata sull’integrazione Welcome to Italy. Nel 2017 prende parte al film L’ordine delle cose di Andrea Segre e vince due bandi di Migrarti con due “corti” sulla discriminazione che mostrano l’ignoranza e gli stereotipi. Infine il film di Papasso, girato in Italia e Svizzera per il quale ha dovuto prendere una aspettativa dalla mensa dove lavora. «Molti dei migranti sono stati trovati nei centri di accoglienza. Ne ho intervistati molti per capire cosa avevano passato anche nei campi italiani con i caporali. Come si combatte il razzismo? Ribattendo con prontezza e ironia». Che accomunano i romani ai somali.

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