martedì 29 aprile 2014
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Anticipiamo uno stralcio di “Sottopelle. La storia, gli affetti”, l’autobiografia di Pietro Barcellona da domani in libreria per Castelvecchi (pagine 360, euro 22,00). Nel volume il filosofo Barcellona, scomparso lo scorso 6 settembre, ripercorre la storia italiana contemporanea intrecciando le vicende del Paese con episodi del suo vissuto quotidiano e con considerazioni sulla modernità, dal suo impegno politico alla conversione.L'Europa non sa parlare più a se stessa e tantomeno riesce a comunicare con il resto del mondo gli antichi principi, che ne hanno fatto un luogo privilegiato dello spirito, nonostante guerre e tragedie umane immense come la Shoah. Abbiamo costruito templi e castelli, palazzi di governo e piazze e adesso ci ritroviamo sommersi da moltitudini frettolose, che riempiono ogni luogo di una falsa festosità. Come è stato scritto, anche le nostre passioni sono diventate tristi e ciò che l’uomo occidentale non riesce più a rappresentarsi è proprio quella letizia, di cui parlava san Francesco nella rappresentazione dell’intreccio tra gioia e dolore. Per questo, la prima ragione per la quale ho sentito una immediata attrazione per papa Francesco è stata quell’e­spressione di essere stato preso «alla fine del mondo» e l’ho intesa come: «Vengo nell’Occidente europeo a iniziare una sto­ria che comincia da un altro mondo».  Il mondo dell’America Latina, che è sta­to per la rappresentazione occidentale un luogo di colonizzazione, sottosviluppo, dittature, è in realtà irriducibile all’Occi­dente. E non già per questi fenomeni di superficie, certamente rilevanti, ma per­ché esprime nella vita delle popolazioni una «antropologia» assai diversa da quel­le occidentali. Intendendo per antropo­logia ciò che gli uomini di un gruppo so­ciale pensano di se stessi, non c’è dubbio che l’Occidente abbia inventato l’Io e il «soggetto proprietario dell’oggetto-na­tura » che, dopo la cacciata dal paradiso, si è posto come il re del mondo, signore e padrone di tutte le cose che si trova di fronte, dalla Terra agli animali, alle per­sone. La declinazione dell’esperienza che ciascuno fa anche delle relazioni più in­time prende le mosse sempre dall’Io che si propone come il protagonista assolu­to della propria vita. Anche quando si par­la delle cose più intime, dell’amore e del­l’amicizia, è sempre l’Io che compie il pri­mo passo e stabilisce le forme e i modi del rapporto con l’altro, che in realtà è sem­pre un alter ego. Nell’America Latina, invece, per miste­riose ragioni, forse anche legate a inevi­tabili mescolanze con le popolazioni in­digene e per l’enorme presenza di fore­ste e pianure, di montagne e valli che so­vrastano il territorio, si è sviluppata un’an­tropologia della relazione, una dimen­sione del gruppo sociale come costituti­vo della convivenza e come luogo privi­legiato per la formazione dello stesso in­dividuo. Ho un nipote argentino e ho o­spitato per lunghi periodi messicani e brasiliani. Sono stato sempre colpito dal­la dolcezza del loro carattere e dal loro rapporto con le cose. Non un rapporto possessivo e utilitaristico, ma l’atteggia­mento di chi deve custodire ciò che è sta­to creato e che appare disponibile alla sua affettività. Conservano una particolare attitudine a organizzare con gli ospiti in­contri conviviali, dove bere e mangiare non è puro e frettoloso consumismo, ma lento assaporare i gusti del cibo. Si espri­mono musicalmente, hanno un rappor­to con gli strumenti popolari, che danno un timbro sonoro anche al muoversi del­la gente nei centri urbani. Non abbiamo mai voluto capire che l’America Latina è un’altra civiltà rispetto all’Occidente ci­vilizzato, che oggi vive in una sorta di ir­religiosità naturale. Nel popolo del con­tinente latinoamericano è ancora diffu­so un sentimento religioso della natura. Papa Francesco nelle sue prime manife­stazioni, almeno a quello che appare guardando i filmati, è uscito dal tempio ed è entrato tra la folla, cercando un con­tatto fisico con le persone che non ha pre­cedenti. Nei suoi discorsi, l’insistenza sul­la custodia del creato e sulla tenerezza verso il mondo suona già come una di­scontinuità rispetto a tutte le nostre spe­culazioni teoriche sul surriscaldamento della terra e sulla possibile svolta ecolo­gica dell’economia. Custodire il creato è un’espressione che ti fa sentire immerso in una specie di sentimento oceanico, do­ve ti senti parte di ciò che devi custodire e non soltanto un padrone che ammini­stra con più prudenza i propri beni. Il ri­ferimento alla povertà può essere inteso, come sta accadendo, come una sorta di ritorno alle correnti pauperistiche, che hanno attraversato la Chiesa. La scelta del nome Francesco dà invece alla rap­presentazione dei poveri un’altra intona­zione. Non si tratta di fare beneficenza e di esercitare più o meno gratuitamente la carità verso i malati e i diseredati, ma, al contrario, di assumere la loro condi­zione come il punto di partenza per ve­dere il mondo con altri occhi. Il povero, anche quando si trova nelle condizioni più drammatiche e nella privazione di ci­bo e di cure, incarna colui che non ha niente da difendere, che – come scriveva Marx – ha soltanto le catene che gli altri gli hanno imposto. Il povero è colui che non ha niente da difendere e perciò è in una condizione di apertura psicologica per accogliere. Il povero è il simbolo di u­na possibile società dell’accoglienza. La povertà non si deve compensare, ma con­dividere nello spirito della predicazione di Cristo: solo chi è capace di perdere la vita potrà salvarsi e ritrovarla. Si forme­ranno leggende e mitologie su questo Pa­pa e, purtroppo, il sistema mediatico ne farà occasione di dibattiti più o meno dot­ti fra credenti e non credenti. Ma se una volta tanto l’arroganza occidentale, no­nostante la nostra miseria attuale, riu­scisse a capire il messaggio che chiede u­na vera e propria conversione non sacra­mentale ma di vita pratica, molte cose nuove potrebbero accadere [...].  L’Occidente, che sta collassando in for­me persino regressive come il razzismo e il populismo, ha toccato il fondo proprio per il ritorno massiccio dell’ingiustizia e della menzogna. Lo stesso scarto fra po­litica e vita quotidiana è la conseguenza del disprezzo verso le realtà popolari e della delega a un’élite arrogante e auto­referenziale. L’elemento diabolico che ha pervaso lo spirito occidentale è l’idola­tria del denaro e del successo, che ha ri­dotto tutta l’esperienza umana alla cop­pia elementare amico-nemico. Riu­sciamo a trovare sempre il colpevole dei nostri guai e delle nostre difficoltà, ma non riusciamo più a trovare forme di comunione di vita che ci diano la forza di reagire collettivamente alle nuove tecniche di dominio della mente e del corpo. Il grande vuoto dell’Occidente consiste nel non essere riuscito a supe­rare la coppia amico-nemico, e a co­struire un paradigma dell’amicizia e del­la fraternità, che diventasse il vero col­lante dei gruppi umani.
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