venerdì 7 marzo 2014
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Sofisticati meccanismi pneumatici, leggerissime fibre di carbonio, resistenti leghe di alluminio e acciaio, sono i componenti delle protesi sportive. Lo sport è un campo formidabile per mettere alla prova le innovazioni che, spesso, hanno ricadute nella vita di tutti i giorni. Accade anche per ausili e protesi. Verificare come reagisce un materiale sottoposto allo stress di una discesa libera di sci è utile per individuare altre sue applicazioni lontano dalle piste innevate. I Giochi di Sochi, come tutte le Paralimpiadi, saranno un’importante occasione anche su questo versante.Le protesi nascono in Centri di ricerca dove i tecnici ortopedici lavorano fianco a fianco con gli atleti. Oltreoceano, l’eccellenza si trova al Mit di Boston dove l’ingegnere Hug Herr, opera a partire dalla sua personale esperienza di bi-amputato. In Europa, in Islanda e in Germania, hanno sede le più famose officine di arti artificiali. In Italia, le protesi sportive nascono a Budrio, alle porte di Bologna, distretto italiano della protesica vista la densità di laboratori. Fra questi il Centro Protesi Inail di Vigorso di Budrio, che per lo sviluppo degli ausili per gli sportivi ha in corso un accordo con il Comitato italiano paralimpico. «Le protesi sportive richiederanno sempre resistenza, sicurezza e leggerezza, qualsiasi tipo di sport si svolga. Sono queste le sfide a cui la tecnologia sta cercando di rispondere», spiega Gennaro Verni, direttore tecnico del Centro Protesi Inail di Budrio. Il settore Sport invernali è quasi inesplorato. Solo negli ultimi anni sono aumentate le persone amputate che vogliono fare sci alpino e sci di fondo. Ma il mercato delle protesi non è uguale per tutti. Per chi ha un’amputazione al di sopra del ginocchio, l’offerta non è ancora all’altezza. Chi vuole fare sci alpino può sciare con un solo sci o seduto sul monosci, se intende fare sci nordico deve usare lo slittino. Per gli amputati al di sotto del ginocchio va meglio, perché esistono protesi che si possono usare sia per lo sci alpino sia per lo sci nordico. Non sono molti perché la protesica, in ogni caso, non ha ancora dato il meglio. Nella scorsa edizione dei Giochi invernali, Nijaz Memic, 40 anni, atleta di Bosnia Erzegovina, si è presentato con la sua protesi meccanica alla gamba sinistra - persa a Sarajevo nel 1983 per via dell’esplosione di una mina - per gareggiare in slalom e gigante (arrivando 39° su 40 partecipanti, ma il risultato dipende da tanti fattori, non dimostra di per sé l’inefficienza della protesi). Sta puntando alla partecipazione ai Giochi di Sochi, l’argentino Pablo Javier Robledo, 39 anni, che gareggia nello sci nordico grazie alla protesi che sostituisce la sua gamba destra persa all’età di 17 anni a causa di un incidente stradale. Le protesi sportive sono il risultato di un gioco di squadra in cui, come abbiamo detto, sono coinvolti gli stessi atleti. L’americana Amy Purdy è stata una pioniera. Nel 1999 ha contribuito a realizzare gambe artificiali per poter fare snowboard. Circa un anno prima una grave forma di meningite, dopo averla lasciata per giorni sulla soglia della morte, le ha portato via “solo” le gambe. Sciatrice e snowboarder anche prima di questa feroce malattia, la diciannovenne Purdy ha aperto la prima scuola americana per parasnowboarder e insieme a tecnici ortopedici ha provato e riprovato a imbullonare tubi di acciaio e molle per poter fare snowboard. La tavola si guida con le gambe e Amy ha trovato un modo per ricreare il movimento articolato di ginocchio, caviglia e piede. A Sochi Amy Purdy potrebbe gareggiare - il condizionale in questi casi è d’obbligo nonché scaramantico - con l’italiana Veronica Yoko Plebani, anche lei paratleta a causa di una meningite e anche lei snowboarder. La sua partecipazione ai Giochi è un premio per il suo impegno e un’esperienza tutta da inventare. A partire dalle protesi. «Tre anni fa mi hanno dovuto amputare le dita dei piedi e parte delle falangi delle mani – racconta la 17enne di Palazzolo sull’Oglio, in provincia di Brescia –. Il mio problema sono stabilità e controllo della tavola che sento con quel che mi resta del piede. Non sempre riesco a premere la lamina nel punto giusto». Veronica non indossa piedi artificiali, ma plantari. «Non è la soluzione – ammette –, sempre meglio della carta con cui, nei primi tempi, riempivo lo scarpone». Un’altra sfida paralimpica e tecnologica è quella dell’italiano Giuseppe Comunale. Una gamba più corta dell’altra di 30 cm, è lui stesso che lo dichiara con discrezione ma con schiettezza. «Sono nato così, ginocchio, caviglia e piede ci sono, ma non hanno funzionalità – spiega il 34enne di Messina –. Ho iniziato a fare snowboard con la protesi per camminare. Da quando gareggio per le qualificazioni paralimpiche, mi segue il Centro Protesi Inail di Budrio che sta lavorando sulla base dei miei suggerimenti e di quelli dei miei allenatori Silvia Bresciani e Igor Cassina». Alle Paralimpiadi che si aprono domani, almeno in gara, non ci saranno sorprese circa avveniristici ritrovati high tech. In fatto di ausili non c’è alcun segreto: tutti quelli utilizzati devono essere regolamentari. Vero è che il regolamento, nel corso degli anni, si è adattato alle novità. E ne sta circolando una che promette di essere una svolta anche per lo svolgimento delle attività sportive. «I costruttori dichiarano che questo nuovo tipo di ginocchio è utilizzabile per correre, andare in bici, in moto, anche per fare sport acquatici perché è impermeabile – spiega Gennaro Verni –. L’innovativo ginocchio è il risultato di uno studio condotto da una ditta tedesca in collaborazione con l’esercito americano. Si tratta di una tecnologia che riconosce lo spazio in cui si trova la protesi. Utilizza accelerometro e giroscopio e un sistema informatico uguale a quello del video gioco Wii. Questo significa che il ginocchio si muove in base a dove si trova. A maggio sarà sperimentato in Europa, ed è stato scelto il nostro Centro per condurre i test».
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