mercoledì 13 agosto 2014
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A Merano (fino al 7 settembre) la mostra Alpi. Luoghi da sogno presenta ventidue progetti di architetture ideati negli ultimi 100 anni da nomi come Adolf Loos, Marcel Breuer, Bruno Taut (nella foto), Jean Prouvé, Charlotte Perriand. Si tratta di progetti in cui la colonizzazione delle Alpi si accoppia all’elemento visionario e utopico, stimolato dalla potenza mitica dei luoghi, come per la Cattedrale di cristallo sul Monte Resegone di Taut. E poi sanatori, alberghi, impianti di risalita... Tra i progetti di italiani, la Torre Balilla di Sauze d’Oulx, Colonia montana Fiat (1937) di Vittorio Bonadè Bottino; il progetto della stazione della funivia al Furggen, Breuil-Cervinia, Valle d’Aosta (1950-53) di Carlo Mollino; il progetto, non realizzato, per la rete funiviaria sulle Dolomiti (1941-42) di Gio Ponti.

Plan de Corones è un vasto plateau verde a 2.275 metri di quota sopra Brunico. È una delle più rinomate stazioni sciistiche altoatesine, anche in virtù di un panorama che spazia dalle Dolomiti all’Ortles fino allo Zillertal. In questi mesi è un grande cantiere: Reinhold Messner vi sta costruendo il suo sesto museo della montagna, dedicato alla storia dell’alpinismo. L’architetto è Zaha Hadid. Il progetto si sviluppa all’interno della roccia, con i due estremi (l’ingresso e una terrazza panoramica) che ne fuoriescono con le consuete fluide forme scultoree dell’archistar angloirachena. Il termine dei lavori è previsto per l’autunno e l’inaugurazione per metà dicembre.  È solo l’ultimo caso, e senza dubbio il più eclatante, di un fenomeno che sta coinvolgendo l’Alto Adige: la diffusione dell’architettura contemporanea in alta quota. A fondo valle, con alberghi e strutture turistiche, case, uffici pubblici, scuole, caserme, fabbriche e musei (si pensi, per fare alcuni esempi, a Bolzano la Salewa di Cino Zucchi e il Museion del berlinese studio KSV, le terme di Merano di Matteo Thun, le cantine di Termeno di Werner Tscholl) è ormai presenza diffusa. Un fenomeno esploso negli ultimi 15 anni e ha tra le cause l’influenza della Vorarlberger Bauschule. La regione austriaca dello Voralrberg dagli anni ’80 è un modello di sviluppo per l’architettura alpina, basato su soluzioni economiche e all’avanguardia e su un rapporto in senso evolutivo con gli artigiani locali del legno. A parte il caso di alcune archistar 'forestiere', gran parte delle opere altoatesine sono di architetti locali, al punto che si potrebbe parlare di una Südtiroler Bauschule, promotrice di un linguaggio contemporaneo che spesso rilegge attraverso legno, vetro, acciaio e cemento, i cardini dell’architettura locale. E che ora si sta spostando verso le vette. Altre sedi del Messner mountain museum sono tra questi casi. Quella di Mmm Ortles, dedicata al tema del ghiaccio, si trova a Solda, a 1.900 metri di quota. Realizzata dal venostano Arnold Gapp, occupa l’interno di una collina. Una breve rampa conduce in una caverna in cemento a vista, sul cui soffitto si apre a zig zag una lunga finestra come un crepaccio. Il Mmm Dolomites sorge sul Monte Rite (2.181 metri), nel cuore delle Dolomiti tra Pieve di Cadore e Cortina d’Ampezzo, all’interno di un forte della Grande Guerra. Qui torrette trasparenti simili a cristalli emergono dalla piatta superficie sommitale.

Un'altra immagine ​del progetto di Zaha Hadid per il Messner Mountain Museum a Plan de Corones
In questi musei la richiesta della committenza deve essere stata, insieme a un impatto spiazzante, la minore invasività possibile. Ed è interessante la sintonia con la filosofia del Messner rocciatore, pioniere del ritorno all’arrampicata in libera e a un rapporto a tu per tu con la montagna. Sul passo del Brennero (1.372 metri), dove prima sorgeva la dogana tra Italia e Austria, un anno fa è stato inaugurato il Plessi Museum. Progettato dall’ingegnere Carlo Costa (direttore tecnico generale della A22) è una grande e un po’ fredda teca di cristallo, con le ampie vetrate in cui si riflette il paesaggio circostante, pensata per ospitare i lavori di Fabrizio Plessi. Primo esempio in Italia di uno spazio museale in autostrada, ha lo scopo di risemantizzare il valico di frontiera anche grazie a un artista che ha profondi legami con la cultura tedesca.  I passi sembrano essere terreno ideale per questo tipo di operazioni, come nel caso della riqualificazione della strada alpina del Passo del Rombo ( Timmelsjoch in tedesco), altissimo - 2.509 metri - valico tra Italia e Austria al termine della Val Passiria. Lo raggiunge una tortuosa quanto vertiginosa mulattiera di origine militare e ora paradiso dei motociclisti. Nel 2009, per valorizzare l’itinerario panoramico, è stata commissionata a Werner Tscholl la realizzazione di cinque volumi scultorei che illustrano i vari aspetti economico-sociali e storico-culturali dell’area, mentre sul valico si trova il Museo del Passo. Qui l’architetto altoatesino ha spinto sui contrasti, posizionando in bilico su un paesaggio brullo e selvaggio, strutture monolitiche in cemento: da una parte il materiale si armonizza cromaticamente con la pietra, dall’altra l’uso di geometrie e sbalzi arditi inserisce nel contesto un elemento di forte astrazione.  Gli impianti di risalita sono le opere più invasive e contestate in ambiente alpino. Spesso hanno causato sfregi al paesaggio. Fino a non molti anni fa le stazioni di arrivo delle funivie erano rozzi cubi in cemento armato aggrappati alla montagna. Oggi la linea è di realizzare strutture di minore impatto. O, semplicemente, di maggiore qualità. È il caso delle nuove stazioni progettate dal bolzanino Roland Baldi per la funivia Merano 2000. In quella di monte, accanto alle strutture di servizio, in cemento e vetro, a sviluppo orizzontale, sbalza un volume di colore rosso vivo, reso leggero dall’uso della lamiera stirata. Ampi spazi vetrati, affacciati sulle creste del Sella e del Sassolungo, caratterizzano anche la nuova Cabinovia Dantercepies a Selva di Val Gardena, progettata dal gardenese Rudolf Perathoner. 

Il Plessi Museum sul passo del BrenneroIn questa conquista delle vette le polemiche naturalmente non mancano, come nel caso del rifacimento di tre rifugi commissionato dalla Provincia di Bolzano nel 2012 con un concorso a invito tra ventiquattro studi altoatesini. Il rifugio Ponte di Ghiaccio (2.545 m) è stato assegnato a Modus Architects (Matteo Scagnol, Sandy Attia) e Giorgio Cappellato, autori di un edificio in legno di impianto a L e dal profilo semplice, ma ben marcato. Il rifugio Vittorio Veneto al Sasso nero (2.923 m) di Helmut Stifter e Angelika Bachmann, è un monolite di strutture prefabbricate di abete rosso coperto di rame. Il Pio XI alla Palla Bianca (2.650 m) è stato vinto dallo studio Höller&Klotzner-Architekten con un edificio compatto, rivestito in lamiera di zinco e titanio con una lunga striscia finestrata. Tutti i rifugi sono ecosostenibili e autonomi dal punto di vista energetico.  Sui progetti, attualmente in fase di appalto (i lavori non cominceranno prima del 2015), si è scatenata la protesta di alpinisti e ambientalisti, per i quali sarebbero un’offesa alla purezza della montagna, astronavi atterrate nella natura incontaminata. Eppure, sostengono invece i fautori, i rifugi sono sempre stati oggetto di sperimentazione tecnologica: fin dalla loro nascita nell’Ottocento, quando si studiarono soluzioni per realizzare edifici capaci di sopportare metri di neve e temperature polari. Abitare la montagna, insomma, ha sempre avuto la necessità di architetture d’avanguardia.

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