sabato 31 marzo 2018
Ieri a Milano la prima assoluta del monologo dedicato alla grande "poetessa dei Navigli" scomparsa nel 2009. Ovazione dal pubblico nel quale sedevano i suoi amici. Nei suoi versi la passione di Cristo
Un momento della serata

Un momento della serata

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«Non racconterò Alda Merini, la riporterò sul palco. Questa è la mia sfida: rivivrà con noi, parlerà e agirà come ha sempre fatto». Un obiettivo ambizioso, quello che l’attore-poeta cileno Manuel Serantes Cristal si era posto portando ieri sera il suo monologo "Confesso che ha vissuto" al Piccolo Teatro Studio di Milano, eppure centrato in pieno. Per tre ore filate, senza un istante di pausa, l’amico più assiduo della grande poetessa ha dialogato direttamente con lei, ha rivissuto in diretta i trent’anni di vita quotidiana passati fianco a fianco, dal giorno in cui «un cameriere nel bar sui Navigli mi disse: la vedi quella? È una pazza che scrive poesie. Mi avvicinai e le domandai se potevo sedermi al suo tavolo, lei mi squadrò e mi chiese cosa facessi nella vita... Che domanda tremenda: chiedere a un uomo cosa fa della sua vita. Chi saprebbe rispondere?». Iniziava così, con la prima di una serie infinita di provocazioni, un rapporto che solo la morte della poetessa ha interrotto, e a ben guardare neanche quella.

Tre ore di sortilegio

Lo spettacolo, promosso dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, non a caso ha visto la sua prima rappresentazione assoluta la sera di Venerdì Santo e ha preso le mosse proprio dalla passione di Cristo, «l’evento che la Merini viveva più intensamente. Nel dolore dell’Uomo che trascinava la sua croce sul Golgota, innocente, deriso, soffriva tutto il dolore del mondo». E allora ecco dipanarsi da qui, senza copione alcuno, in modo del tutto spontaneo e casuale, gli aneddoti e gli episodi della sua vita, alternati ad alcune tra le sue poesie più toccanti, lette dallo stesso Serantes Cristal mentre al pianoforte Arnoldo Mosca Mondadori improvvisava a sua volta le musiche a seconda delle atmosfere... O era il suono di quel pianoforte invece a creare le atmosfere che ispiravano l’attore? Non lo sapremo mai: non lo sapeva il pubblico, certamente non lo sapevano l’attore e il pianista, tutti immersi nello stesso sortilegio meriniano di una serata speciale. Dove ogni cosa appariva casuale e disordinato, come la sua stessa vita e la casa sui Navigli in cui viveva la poetessa, ma dove tutto invece rispondeva alla grande logica dell’universo, quella che i poeti vedono prima degli altri esseri umani.

Le avventure della "sciura" Merini

Nel pubblico milanese che affollava il Piccolo (lunga la fila di chi non è riuscito a entrare) sedevano alcuni tra i più grandi amici della poetessa, i più stupefatti nel riconoscere effettivamente la "loro" Merini, quasi a vederla e poterla toccare, materializzata sul palco dalla vivacità di Manuel Serantes Cristal, a volte più pittore che scrittore. Rieccole le occhiate capricciose e dispotiche con cui lei gelosamente pretendeva un’amicizia esclusiva e pronta a tutto. Ma riecco anche la tenerezza infinita della sua innocenza nuda e priva di difese. E poi l’arguzia maliziosa. L’umorismo un po’ noir portato al paradosso. Il suo modo di giocare con la pazzia, che non sapevi mai se fosse invece provocazione o estro. E il momento sublime della poesia nascente, «quando all’improvviso dettava i suoi versi e diventava profetessa: in quei minuti la poesia usciva da lei ma lei non era lì, era in un’altra dimensione, per questo dettava». E poi non faceva come i poeti di mestiere, «non correggeva niente, non le interessava cambiare la parola, togliere la virgola», l’atto creativo era avvenuto e quando rileggeva le sue poesie la più stupita era lei.
Quando vinse il Premio Montale, l’Italia si accorse di avere una grande poetessa, «l’Italia, ma non i Navigli. Qui rimaneva la sciura Merini, la pazza della porta accanto», e lei con sussiego promise «non mi rivedrete più», fece le valigie e si trasferì. «Si trasferì... in realtà girò l’angolo, via San Gottardo, e prese una stanza in hotel per nove mesi. Spese così l’astronomica cifra del premio, poi tornò a casa».

Cento repliche, cento sorprese

Si è riso tanto e ci si è commossi, ieri sera, soprattutto nei brevi istanti in cui alla figura dell’attore si sovrapponeva ai nostri occhi quella della Merini, come in dissolvenza, o al suo accento latinoamericano si sostituiva nel nostro ascolto l’antica voce roca della poetessa quando ci dettava i suoi versi o ce li recitava pensosa, prima di sbottare in una risata imprevedibile: «Le è piaciuta?». È vero, Alda Merini ieri sera era lì, non a recitare, a vivere la sua solita vita. E solo un addetto del teatro, mandato in scena con un pudico bigliettino a ricordare al pianista che era ora di chiudere, ci ha fatto accorgere delle tre ore trascorse: il monologo senza copione non ha neanche durata, e potremo rivederlo cento volte perché ogni "replica" sarà diversa. «Questo è ciò che vogliamo – spiega Arnoldo Mosca Mondadori, l’amico che per anni ha suonato il pianoforte in casa Merini mentre lei, ispirata dalle note, dettava a un registratore le sue poesie cristiane – porteremo "Confesso che ha vissuto" in cento teatri di tutta Italia, in sale, piazze, parrocchie, ovunque». Per prenotare lo spettacolo scrivere a casaspiritoarti@gmail.com.

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