sabato 23 settembre 2017
Conseguenza del movimento romantico, la ricerca delle radici della Catalogna come nazione, che risalirebbero al XIII secolo
Alba catalana, nell'800 il rinascimento di una lingua e della sua letteratura
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«Adéu-siau, turons, per sempre adéu-siau / Oh serres desiguals, que allí, en la pàtria mia / Dels núvols e del cel de lluny vos distingia...». Ovvero «Addio monti, per sempre addio, oh cime diseguali che là, nella patria mia, da lungi distinguevo tra cielo e nubi...». Il richiamo alla nota prosa lirica del Manzoni è evidente: «Addio, monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi...», scriveva questi nella nota pagina in cui racconta la fuga di Lucia dal paese natio per eludere le mire di Don Rodrigo. I versi in lingua catalana, vergati da Bonaventura Carles Aribau nel 1833 nella poesia La patria sono considerati un momento germinale di quell’epoca di impulso culturale noto come la Renaixença, la rinascita della cultura catalana.

Come scrivono Arthur Terry e Joaquim Rafel (Introducción a la lengua y la literatura catalana), «il risorgimento della letteratura catalana all’inizio del secolo XIX è conseguenza quasi esclusiva del movimento romantico». E del romanticismo assume le tematiche fondanti, a partire dalla ricerca delle radici ancestrali della nazione. Quando si parla di nazione in Spagna si incorre in un problema assai complicato: l’unificazione delle corone di Castiglia e Aragona e la conclusione della Reconquista nel 1492 unirono il Paese iberico, ma in condizioni non paragonabili a quella della vicina Francia, altamente centralizzata, o degli Stati contemporanei. Basti pensare che la capitale fu stabilita in via definitiva a Madrid soltanto a metà del secolo successivo, da Filippo II, e sino ad allora la corte, seppur di preferenza a Toledo, soleva riunirsi in diverse città e le comunità locali godevano di un ampio grado di autonomia: a volte ne scaturivano conflitti col potere centrale. Per esempio nel 1518 i sovrani spagnoli, temendo il potere mercantile di Barcellona, vietarono che questa commerciasse direttamente con l’America e ne lasciarono il privilegio ai porti di Cadice e Siviglia; dal 1640 al 1652 i contadini catalani si sollevarono contro le tasse imposte da Madrid proclamando l’indipendenza e ne seguì un conflitto cruento; nella guerra di successione spagnola dell’inizio del XVIII secolo la Catalogna si oppose a colui che risultò vincitore, Filippo V e per conseguenza i propri privilegi autonomici furono cancellati; infine dopo l’invasione napoleonica in Spagna, la Catalogna tendenzialmente si trovò ad avversare il liberalismo introdotto dai francesi, che faceva il paio col centralismo tipico dei governi parigini.



Nel corso di tali eventi, la tensione tra catalano e centralismo madrileno ha sempre ruotato anche sulla questione della lingua e ovviamente col progressivo prevalere del centralismo, è prevalso lo spagnolo, ovvero il castigliano, come lingua parlata e soprattutto come lingua di cultura. D’altro canto tali eventi storici erano vissuti come una degenerazione e la Renaixença ha cercato di riportare in auge un’età dell’oro che era individuata – o immaginata – nella cultura dei secoli XIII e XIV: allora (la cultura segue di solito il potere economico) le navi militari e mercantili catalane esercitavano un cospicuo dominio in alcune zone del Mediterraneo, dalla Grecia alla Sardegna e per questo, com’è noto, tuttora una variante del catalano, che vi fu imposto manu militari in quel periodo, è parlato nella zona di Alghero.
Ecco dunque che Carles Aribau nel suo canto alla patria usa toni nostalgici: questa è l’insieme di territorio, tradizioni, cultura, lingua. Che va riscoperta e nuovamente praticata, riportata alle condizioni di veicolo per trasmettere grandi idee. L’assonanza con la stupenda pagina manzoniana rivela l’intendimento: come Lucia, la Catalogna è stata allontanata dal suo nido e desidera ritornarvi.

Già una decina di anni prima di pubblicare quei versi, Aribau era stato cofondatore di una rivista, El Europeo, con la quale si era impegnato a diffondere la cultura romantica: Schlegel, Goethe, Schiller, Manzoni... Sulle prime la lingua usata era lo spagnolo. Ma nel corso di quelle esplorazioni nacque il desiderio di far rivivere il catalano. Come scrive Terry, «il movimento è dominato dagli ideali della classe media e dall’evocazione nostalgica di un passato fondamentalmente leggendario». Fatto sta che dopo la pubblicazione di La patria seguirono altre opere in catalano, soprattutto di poesia e quindi anche di teatro: di autori come Rubió i Ors (1818-99), Victor Balaguer (1824-1901) Manuel Milá i Fontanals (1818-84). Si tratta di lavori limitati a una ristretta cerchia accademica. Riuscirono a evadere da quell’ambito assai limitato solo con la riapertura dei Giochi Floreali dal 1859: competizioni di poesia che riprendevano un’antica tradizione medievale. Da questi emerse colui che è considerato il maggiore autore catalano, Jacint Verdaguer, che con altri letterati quali Oller e Guimerà, riuscì a comporre un corpus cospicuo di opere significative. La prima, forse la più rilevante è L’Atlàntida (1877), di Verdaguer: dieci libri in versi che trattano delle imprese di Ercole nella penisola iberica, della scomparsa della civiltà di Atlantide e della scoperta delle Americhe. Scritto in onore all’imprenditore per il quale Verdaguer lavorava, Antonio Lopez, lasciò una forte impressione sul pubblico e stabilì il catalano come lingua capace di sollevare entusiasmo, fondendo tra loro elementi antichi e moderni, Platone e Cristoforo Colombo. Manuel de Falla lo mise in musica. Si era stabilito un movimento, crebbe il numero di seguaci e si unì col movimento architettonico noto come modernismo, corrispondente al liberty in Italia: tra coloro che lo coltivavano alla fine dell’800 si trovano scrittori come Guimerà y Oller, il critico letterario Yxart, gli architetti Domènech i Montaner e Antoni Gaudí. Il loro portato culturale è ormai radicato. Il problema è se abbia senso cercare di trarne oggi, come si tenta col referendum del 1° ottobre, un movimento di carattere politico finalizzato a staccare la Catalogna da una Spagna che ne riconosce e rispetta la tradizione, la cultura e la lingua.

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