domenica 30 settembre 2012
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Turisti a passeggio per il Louvre con in mano un videogioco. Da qualche mese se ne vedono parecchi. Stanno usando le console portatili Nintendo 3DS, proprio quelle di Super Mario: sono le nuove audioguide del museo più visitato al mondo. Il termine, però, è riduttivo: oltre a settecento commenti audio, le console consentono di accedere a immagini e contenuti 3D, mappe interattive, giochi. Assaggi di futuro? No, è proprio presente. Perché in musei grandi e piccoli sempre più visitatori hanno in mano smartphone e tablet mentre attraversano le sale. Addio vecchie guide cartacee. Ora ci sono le app. Sono molti gli indicatori di come quello dei dispositivi mobile sia il settore più promettente nella comunicazione e nella fruizione museale. Il tema è al centro di molti dei convegni internazionali di museologia e di tutti quelli su musei e web. Abituiamoci: si stima che nei prossimi dieci anni l’ottanta per cento di chi si connetterà al web lo farà esclusivamente attraverso un dispositivo portatile. Oggi sono già oltre diciotto milioni gli smartphone in Italia, la navigazione mobile è cresciuta dal 2009 al 2010 del quaranta per cento e il settanta per cento degli utenti ha tra i ventidue e i quarantaquattro anni. Ma c’è anche l’aspetto commerciale. Per un settore praticamente neonato (le app più antiche difficilmente risalgono a prima del 2009) è un vero e proprio boom. Negli Stati Uniti è stato paragonato alla corsa verso il West. Secondo una ricerca dell’Associazione italiana editori presentato all’ultima Artelibro, tra il 2010 e il 2011 su iTunes (non sono compresi quindi gli ambienti Android e Windows Phone) in tutti i Paesi l’offerta di app d’arte, esclusi quindi musei scientifici e naturalistici, è aumentata del 59%. Sulle 211 monitorate (ma è difficile garantire l’esaustività della ricerca) 53 sono italiane, con una crescita del 73%. Gran parte delle app museali sono gratuite (139 su 211), ma non sempre quelle dei big: National Gallery, Louvre, Orsay, Prado, Getty, ad esempio, sono a pagamento. Le applicazioni che meglio sanno interpretare le potenzialità del mezzo rivoluzionano l’approccio ai contenuti grazie all’intuitività e alla velocità di risposta. Con i contenuti multimediali consentono un accesso all’opera attraverso percorsi di conoscenza inediti, come quelli interattivi e ludici. Creano percorsi personalizzati attraverso le collezioni. Permettono di ingrandire le opere e di farle ruotare come se le avessimo tra le mani, modificarle e giocarci persino. Altre ancora contengono video in cui esperti, o gli artisti stessi, offrono dettagliate spiegazioni. C’è poi la risorsa della geolocalizzazione: chi si perde abitualmente nel labirinto delle sale museali (o ha paura di mancarne una) può ritrovarsi sulle mappe digitali. Ma soprattutto consentono di condividere le esperienze. Fatto centrale nell’era dei social media. Tra le app più blasonate ci sono quelle del MoMA di New York, del Louvre, del British Museum, dei Musei Vaticani e degli Uffizi. Non mancano le app che consentono una visione panoramica della cultura come, ad esempio, Leonardoaround del Museo della Scienza e della tecnologia che con schede testuali e video intende far conoscere i luoghi di Leonardo a Milano; i-Mibac top 40 , l’applicazione del ministero per i Beni e le attività culturali dedicata ai luoghi della cultura statali; o la riuscita artfinder, app che consente, grazie al gps, di individuare musei, monumenti e mostre temporanee intorno a noi grazie alle segnalazioni degli altri utenti. Ma la vera frontiera di smartphone e tablet nei musei è la realtà aumentata. In inglese augmented reality o, abbreviata, Ar. Ovvero la sovrapposizione attraverso un dispositivo multimediale di elementi digitali su una visione dal vivo di uno spazio reale. La prima mostra al mondo a utilizzare ufficialmente la Ar pare sia stata nel 2011 “I guerrieri di terracotta” al Museo delle civiltà asiatiche di di Singapore. Ma la prima volta la realtà aumentata era entrata in museo da clandestina: era l’ottobre 2010 quando due new media artist, Sander Veenhof e Mark Skwarek (tra i progetti di quest’ultimo anche la “riunificazione” delle due Coree con l’Ar) hanno “collocato” abusivamente – l’istituzione non ne sapeva nulla – numerose opere d’arte nella sale del MoMA di New York, arrivando ad aggiungere addirittura un settimo piano all’edificio. Tutto visibile soltanto attraverso uno schermo. Da quel momento in poi la realtà aumentata è entrata a pieno diritto nella comunicazione e nel sistema educativo dei musei di ogni tipo. Due importanti realtà come lo Smithsonian a Washington e il Powerhouse di Sydney hanno creato guide in Ar, in Italia pioniere è il museo archeologico di San Severino Marche. Più spesso è presente nella versione dei Qr code , i quadrati a tasselli bianchi e neri che consentono, attraverso una semplice scansione con la fotocamera, di accedere a contenuti online: una foto all’etichetta sotto l’opera e sullo schermo appare la spiegazione. La comunità scientifica si sta interrogando su quanto la realtà aumentata aggiunga valore all’esperienza del museo o sia invece essa stessa esperienza. Ovvero se il rischio sarà di vedere persone che si aggirano per le sale guardando in uno schermo senza osservare dal vivo quanto esposto. Ma sono molti a sostenere che le potenzialità sono di gran lunga superiori alle problematicità.
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