domenica 14 aprile 2019
Sono pochi i gruppi sociali con accesso alla AI e realisticamente, pochi continueranno a esserlo. Radicalizzerà i caratteri dei singoli contesti a cui risponde, esaurendo ogni utopia universalista
Classista per algoritmo: l'Intelligenza Artificiale divide l'umanità in due
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La fatidica AI, intelligenza artificiale, qualunque cosa se ne pensi, viene considerata comunemente un sistema universale, minimo comune multiplo dello scibile, entità universale quanto indefinibile. Onnicomprensiva e generale. Nulla di più distante dalla realtà. L’AI è un’articolazione di applicativi software che può innestarsi su hardware di varia natura. Il suo sviluppo si struttura su realtà ben definite. Le sue implicazioni e soluzioni sono ben lungi da essere valide per tutti. In questo l’AI non supera affatto i confini delle categorie immaginarie o fattuali in cui si articola l’umanità: classi sociali, generi, colori, culture. Per alcuni può essere soluzione, per altri può essere creazione di problemi. L’AI, senza un discernimento estremamente mirato, rischia di essere classista, settoriale, magari anche razzista.

In questo non ha alcuna colpa. Al contrario di quanti molti ipotizzano, l’AI non è e non sarà mai in grado di far bene o sbagliare, ovvero non potrà mai fornire un qualche tipo di riferimento etico. Compie la sua natura algoritmica, sempre predeterminata, qualunque sia il livello di complessità raggiunto. A causa della sua ambiguità può essere spacciata per sistema universale, che in realtà veicola deduzioni e azioni ben circostanziate, utili principalmente al gruppo di riferimento da cui l’AI trae la sua conoscenza di tipo sostanzialmente statistico.

Approcciata con atteggiamento fideistico si presta a determinare la nuova dimensione di una demagogia acritica. Demagogia informatica di metodo, che non investe solo un pugno di conseguenze riassumibili in slogan, o la media universale delle temperature dei frigoriferi, ma il metodo stesso di pensare un servizio orizzontale e valido per tutti che è puramente immaginario.

Come il codice binario, l’AI è un sistema di domande e risposte. È evidente che queste saranno sempre formulate in maniera contestodipendente. Che i contesti siano poi gruppi territoriali o culturali, gruppi di persone che possiedono un tipo di beni piuttosto che altri, con livelli di istruzione differenti, non importa.

In alcune regioni del mondo, spesso per ragioni discriminatorie, i generi hanno accesso a servizi e realtà differenti, o non ne hanno affatto. Bisogna chiedersi se l’AI ipotizzata da un gruppo di nerd arricchiti della Silicon Valley (quelli che non sono spariti nella bolla della net economy) possa offrire un servizio e una risposta ai paria indiani, o agli Inuit dell’Artico, o a una comunità di Mormoni del Canada. Come sistema di domande e risposte verrà sempre immaginata e condensata da qualcuno diverso dal fruitore. La gamma di dati cui può attingere, per quanto big data, sarà sempre frutto di un bacino specifico, del quale immaginare la universalità non solo è fuorviante ma potenzialmente pericoloso.

Pensiamo all’AI elementare applicata agli smart objects, ancora agli albori. Il suo controllo sugli strumenti della vita quotidiana non può essere generico. La sua utilità dipende non solo da comandi standard ma anche dalla possibilità di adattarsi ai ritmi e agli usi di ogni singolo gruppo sociale, per non creare effetti dannosi. Ma si dà il caso che sono veramente pochi i gruppi sociali con accesso alla strutturazione dell’AI. E realisticamente, pochi continueranno a esserlo. Molto distante dal rappresentare una sorta di utopia finale e risolutiva, la intelligenza artificiale, al momento, è sul punto di generare miriadi di micro e macro distopie potenzialmente conflittuali.

Non esiste la categoria uomo unica cui applicare una intelligenza univoca, tanto meno artificiale. Le intelligenze sono tante quanti sono gli esseri umani. E si capisce bene come la metodologia statistica algoritmica dell’AI, per quanto articolata, non possa tenere in conto tutta questa varietà. In questo la storia non cambia. Il rischio di oggi è vendere come panacea per tutti i mali un conglomerato di forme di razzismo, classismo, disparità sociale, ad una umanità profondamente inconsapevole che, prima dell’avvento di una intelligenza artificiale universale, avrebbe urgenza di recuperare amore per se stessa e senso critico.

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