sabato 6 settembre 2014
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Il 4 agosto scorso il presidente Barack Obama ha accolto i capi di Stato e di governo africani a Washington per il primo «US-Africa Leaders Summit». Solo cinque mesi prima, i leader europei avevano organizzato un simile vertice – il quarto dal 2001 – a Bruxelles, mentre il Presidente francese Hollande li aveva ricevuti a Parigi lo scorso dicembre.

Roma, dal canto suo, ha lanciato «Italia-Africa»: un’iniziativa, nelle parole dell’allora ministro Bonino, «a tutto campo, per riaccendere i riflettori nel nostro Paese sull’Africa rilanciando il partenariato politico, economico, culturale tra l’Italia e l’intero continente africano». Ancora più attive sono le economie emergenti. È sintomatico che il primo viaggio ufficiale del nuovo presidente cinese Xi Janping nel 2013 sia stato in Africa, di cui la Cina è il principale partner commerciale dopo l’Unione Europea. Anche Brasile, Corea, India e Turchia hanno intrapreso, ormai da vari anni, una strategia per rafforzare le relazioni economiche e diplomatiche con i governi africani. La Turchia vi ha inaugurato 19 nuove ambasciate fra 2009 e 2012 e Turkish Airlines serve ben 24 destinazioni africane. A che cosa si deve questo dinamismo verso l’Africa? Che cosa è cambiato rispetto a un recente passato, quando le cancellerie – occidentali e no – erano sostanzialmente disinteressate al continente nero o lo consideravano solo in termini assistenzialistici? La corsa alle risorse naturali è sicuramente una potente motivazione. La Banca Mondiale prevede che, entro il 2020, solo 4 o 5 Paesi africani non saranno coinvolti nello sfruttamento di qualche minerale, tale è l’abbondanza di risorse naturali. Le recenti scoperte di ingenti risorse offshore di gas in Mozambico, dove Eni gioca un ruolo di primo piano, renderanno il Paese il quarto produttore mondiale di gas naturale, dietro a Russia, Iran e Qatar. La corsa alle risorse, però, non è tutto. L’Africa è un continente in movimento, con enormi potenzialità di sviluppo. Secondo le più recenti stime dell’African Economic Outlook prodotto da Ocse, Banca Africana di Sviluppo e Nazioni Unite, l’economia continentale è cresciuta in media del 4,5% tra 2008 e 2013. L’espansione del settore minerario e delle costruzioni dovrebbe spingere il Pil a crescere del 4,8% nel 2014 e del 5,7% nel 2015. La combinazione di tassi di crescita fra i più elevati al mondo, della più giovane popolazione al mondo e di un’urbanizzazione in rapida espansione, rende l’Africa la nuova frontiera degli investimenti; quelli diretti esteri e di portafoglio dovrebbero raggiungere 85 miliardi di dollari nel 2014. Nel 2050 la popolazione africana raddoppierà, raggiungendo circa quota 2 miliardi. Se è vero che il reddito pro-capite resta ancora basso (nel 2013, 3250 dollari l’anno in parità di potere d’acquisto; in Italia 33618 dollari), si tratta comunque di un enorme mercato potenziale che già attira l’attenzione e gli investimenti di imprese in settori quali le telecomunicazioni, i beni di consumo e la grande distribuzione. Problemi strutturali e di governance persistono, ma è indubbio che lo scenario è molto cambiato rispetto a solo 10 anni fa. Benché con ritmi e modalità diverse, i Paesi africani stanno sperimentando una rapida e profonda trasformazione.  Restano sfide enormi da affrontare in termini di competitività delle imprese e creazione d’impiego, lotta alla povertà e miglioramento della qualità della vita in molti Paesi, impatto del cambiamento climatico. Benché le economie africane rappresentino meno del 3% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra (l’africano medio produce ogni anno 920 kg di Co2, contro 6588 kg di un italiano), l’Africa è uno dei continenti più vulnerabili alla variabilità e al cambiamento climatico, dove l’impatto del clima sull’agricoltura e sulla disponibilità di acqua è particolarmente elevato. Si stima, per esempio, che le risorse necessarie per fronteggiare i soli rischi di più frequenti inondazioni e per promuovere un adattamento al più elevato livello dell’oceano oscillerebbero fra il 5 e il 10% del Pil continentale.  Con l’approvazione di Agenda2063 al vertice dell’Unione Africana lo scorso anno, i governi africani hanno identificato obiettivi e azioni ambiziose per guidare la propria trasformazione nei prossimi 50 anni. Nonostante l’assertività che permea le dichiarazioni ufficiali – per esempio l’affermazione che i governi africani devono esercitare un maggiore controllo sulle proprie risorse naturali come strumento di promozione dell’industrializzazione –, è diffusa la consapevolezza e la volontà di cooperare con i Paesi più sviluppati per realizzare questi obiettivi. Le economie emergenti stanno già rivedendo il proprio approccio verso il continente. La Cina, per esempio, ha annunciato di voler investire per lo sviluppo del settore manifatturiero e agricolo, diversificando dal solo settore estrattivo. Notevole anche il fatto che Pechino intervenga in maniera sempre più decisa a sostegno degli sforzi africani per promuovere pace e sicurezza.   È opportuno chiedersi se i Paesi occidentali, Europa in testa, siano pronti a rivedere le basi del proprio partenariato, andando oltre il tradizionale, esclusivo focus sugli aiuti allo sviluppo, e costruendo una cooperazione economica e istituzionale a tutto campo, che affronti in maniera pragmatica e costruttiva temi quali il trasferimento di tecnologia, l’imprenditoria e lo sviluppo di piccole e medie imprese, il deficit infrastrutturale soprattutto in materia energetica, il rafforzamento delle capacità amministrative africane in particolare a livello locale.

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