martedì 13 giugno 2017
Una lettura contemporanea del continente. La studiosa dell'Università di Urbino: «Sfuggire alla trappola dell’attualità. Per leggere quello che accade è imprescindibile il valore della conoscenza»
Una scena di vita quotidiana nel variopinto mercato di Lagos, in Nigeria (AP Photo/George Osodi)

Una scena di vita quotidiana nel variopinto mercato di Lagos, in Nigeria (AP Photo/George Osodi)

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«Primavere arabe, migranti, terrorismo? C’è una lente con cui guardare quello che succede oggi: la storia. È fondamentale sfuggire alla trappola dell’attualità, dell’emotività, dei ragionamenti de-contestualizzati e della mancanza di consapevolezza di quello che è successo prima. Sviluppo, migrazioni, conflitti sono alcuni degli elementi che ritornano nelle analisi dell’Africa contemporanea. La conoscenza della storia dell’Africa è allora elemento imprescindibile per la comprensione delle dinamiche politiche e sociali in atto nel continente. È a partire dalla storia che avremo la lucidità di guardare a fondo i problemi e di prendere le giuste decisioni. Altrimenti ci troveremo sempre punto e a capo, come se la storia non ci avesse mai insegnato nulla». Anna Maria Medici insegna Storia delle istituzioni africane all’Università degli Studi di Urbino, e di fronte all’attualità che sconvolge il “nostro” mondo e vede l’Africa in primo piano, risponde con la “freddezza” della storia. Quella che racconta e propone insieme ai colleghi africanisti dell’Università di Bologna, Arrigo Pallotti e Mario Zamponi, nel volume da pochi giorni in libreria L’Africa contemporanea (Le Monnier Università, pagine 518, euro 39,00). Il manuale sull’Africa che mancava, perché per la prima volta si racconta in un libro destinato agli studenti la storia dell’Africa del secondo Novecento, fino alle ultime vicende che hanno interessato l’Africa mediterranea dalla fine del 2010, dall’Egitto alla Tunisia. «Da africanisti – dice la professoressa Medici – diciamo che non si può conoscere davvero il Novecento europeo senza affrontare la storia del Novecento africano, senza cogliere le trasformazioni di queste società entro un più ampio orizzonte di storia comune».

Eppure, la recente storia politica africana resta forse oggi quasi totalmente sconosciuta ai giovani.

«È un incredibile paradosso di questa fase storica, frutto di un atteggiamento culturale che, con il tempo, ha assunto il profilo di un azzardo sconsiderato: com’è stato possibile disinteressarsi così a lungo, in Europa, di vicende tanto prossime e interconnesse? Sappiamo tutti che la fine del colonialismo – un fenomeno che oggi può essere compiutamente storicizzato – ha lasciato in eredità qualche frutto avvelenato. Fra questi c’era pure l’idea che in Europa ci si potesse, in fondo, disinteressare a quel che accadeva in Africa. Ed è un’idea che, spesso, è stata funzionale ad autoassolvere le nazioni europee dagli effetti dell’influenza che i loro governi continuavano ad esercitare, sotto nuove forme, nei paesi africani. Con il risultato che, cinquant’anni dopo, siamo molto in ritardo rispetto alle necessità del nostro tempo. Da qui l’importanza di affrontare la storia contemporanea africana nel suo divenire».

L’Africa filtrata dai media è quella dei migranti, fenomeno terminale di altri problemi. Ma quali sono i temi in campo?

«Le grandi questioni economiche e sociali del continente rinviano a temi che conosciamo bene e che oggi tendono a essere messe in secondo piano rispetto ad altri che l’attualità e l’emozione richiamano: la lotta alle diseguaglianze e per i diritti, per il lavoro, per la dignità, insieme all’esigenza di governare questioni ambientali e politiche che sono a volte particolarmente complesse nel continente: i cambiamenti climatici stanno avendo, per esempio effetti molto pesanti in alcuni contesti africani, come la regione del lago Ciad. In alcuni casi, la grande ricchezza in particolari risorse – oro, petrolio, diamanti, coltan, uranio – ha finito per rappresentare “il” problema politico principale di alcune comunità nazionali, alimentando invincibili spinte autoritarie. E la grande questione storica della democra- zia – aperta, in Africa, sin dalle lotte anticoloniali – è divenuta la cornice politica assunta anche dall’Unione africana nelle relazioni fra gli Stati. Come riferisce la recente storiografia, entro questi temi economici e sociali si ritrovano anche le ragioni di fondo di molti conflitti africani che hanno poi assunto coloriture “etniche” per opportunismi politici, per strategie di consenso o di comunicazione ».

I processi democratizzazione, dopo colonialismi e imperialismi, sono stati travagliati. Alcuni sono riusciti, altri sfociati in dittature. E poi sono arrivate le cosiddette “primavere arabe”.

«Periodicamente, dal secondo dopoguerra, ci accorgiamo che in Africa la popolazione ha lottato per la democrazia; e ogni volta lo raccontiamo, in Europa, come fosse la prima volta. Anche in questo caso, a leggere l’attualità senza misurarsi con la storia politica africana, si corre il rischio di prestare un’attenzione superficiale a singoli elementi di “colore”, del solito esotismo culturale. Una volta esauriti, il fragile entusiasmo solidale degli europei si spegne presto nella complessità degli eventi, con una delusa rimozione, come avvenuto per altre “primavere” del passato. Anche la generica definizione di “primave-re”, mutuata dalla propaganda politica e molto criticata in storiografia, riflette le superficialità di queste prospettive, senza contribuire all’analisi né alla comprensione dei fenomeni politici e sociali. Anzi. Su questi temi, sul caso tunisino, per esempio abbiamo scelto di ripercorrere le vicende delle lotte sociali e politiche degli anni ’70 e ’80, la svolta della cosiddetta – anche allora – “primavera” tunisina guidata da Ben Ali nel 1987, e di delineare il contesto di un certo “tradimento” di quella stagione di riforme democratiche negli anni Novanta, guardando alle basi di consenso sulle quali si sono formati gli autoritarismi dell’area».

L’Europa e l’Africa sono – dipende dai punti di vista – divise o unite dal Mediterraneo. L’Europa non può restare a guardare. Come deve rapportarsi con l’Africa?

«Le relazioni tra Europa e Africa sono in via di profonda ridefinizione. Dopo la fine della Guerra Fredda l’Europa ha pensato che la soluzione per la crisi dello sviluppo in Africa passasse attraverso riforme per aprire le economie africane alla globalizzazione e stimolare gli investimenti privati. La liberalizzazione del commercio tra Unione Europea e Africa ha acquisito in questo contesto un’importanza centrale per i governi europei. Ma questa visione non è stata mai pienamente condivisa da quelli africani. Oggi ci rendiamo conto dei limiti di queste ricette di sviluppo, che non hanno saputo contribuire in maniera efficace a risolvere il problema della precarietà dell’accesso alle risorse economiche e ai servizi sociali. L’impetuosa crescita economica registrata da gran parte dei paesi africani negli ultimi due decenni ha aggravato le disuguaglianze, finendo per acuire i problemi di stabilità politica in diverse aree e paesi».

C’è tutto questo dietro la grande fuga dei migranti e quanto di drammatico sta avvenendo nel Mediterraneo, nell’incapacità europea di governare l’accoglienza?

«L’attenzione dell’Europa si è spostata sulle questioni della sicurezza e del contenimento di flussi migratori dall’Africa, senza però un profondo ripensamento del modello di sviluppo e di democrazia che si è promosso in Africa negli ultimi decenni. E il rischio è che le misure attuate dall’Europa finiscano, paradossalmente, per aggravare i problemi politici ed economici in Africa. I migranti sono una conseguenza di politiche sbagliate. Non l’effetto. Bisognerebbe ricordarlo. E rileggere la storia può aiutare a ritrovare la strada. Prima che sia troppo tardi».

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