mercoledì 7 ottobre 2009
Un tecnico tedesco ha fondato tre scuole calcio a Kabul e vuole costruire una Nazionale per meritarsi i Mondiali 2014.
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Klaus Stark è lo stereotipo del tedesco medio: viso rubicondo e baffo energico. Il suo sorriso è imperturbabile nonostante da tre anni sia testimone di una Kabul che non nasconde i segni pesanti di tutte le guerre che l’hanno violentata. Avrebbe potuto allenare in patria tentando di sollevare al cielo il meisterschale, il piatto d’argento dei trionfatori della Bundesliga, ma il 54enne Stark si sente un po’ il missionario della sfera di cuoio.Ha aderito a un programma finanziato dalla Fifa e dal Governo tedesco per insegnare calcio nei Paesi più depressi del pianeta come Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh. In Afghanistan i risultati danno ragione alla sua tenacia. Grazie alla complicità di due ragazze risolute, Khalida e Shamila, ha costruito la nazionale femminile nonostante la costante minaccia armata dei talebani. La notizia fece il giro del mondo quando le ragazze disputarono una tournée a Stoccarda. La nuova sfida è altrettanto suggestiva: qualificare la squadra maschile ai Mondiali brasiliani del 2014. Il materiale umano su cui lavorare è tutt’altro che disprezzabile: i giocatori più bravi sono quasi tutti impegnati nelle divisioni minori della Bundesliga.Figli di immigrati, tedeschi di seconda generazione con il passaporto che intona Deutschland über alles! ma il cuore che batte all’unisono con Kabul. Calciatori come Mansur Faqiryar o Arian Habib, con una laurea in tasca e il desiderio di dimostrare al mondo che l’Afghanistan non è solo la terra del burqa, delle lapidazioni e degli attacchi criminali ai contingenti di pace. L’entusiasmo di questi ragazzi si è tradotto in un progetto che potrebbe funzionare. «A Kabul non esistono in sostanza campi di calcio, non si disputa una partita ufficiale dal 1984. Se la Fifa ce lo consentirà, giocheremo tutte le partite interne in Germania» rivela Stark che può contare sull’appoggio di una tifosa speciale, il cancelliere Angela Merkel.Non è una novità che ai Paesi in guerra venga concessa la possibilità di giocare a distanza di sicurezza dalle polveriere. L’Iraq è rientrato solo a Baghdad lo scorso luglio dopo aver girovagato per anni tra Emirati Arabi e Qatar. Kabul dista dalla Germania circa 5.000 km, non proprio il percorso di una gita fuori porta. «Ma i miei ragazzi sono quasi tutti professionisti tra Oldenburg, Wuppertal e Kassel, per cui non vedo grossi ostacoli». Stark ha individuato nella città bavarese di Herzogenaurach, sede di due celebri marchi sportivi, la novella Coverciano afghana che potrebbe diventare la sede di un torneo tra club a ranghi ridotti. Sulla falsa riga di quanto accade a Washington, dove dal 1998 si celebra l’Afghan Cup, l’Olimpiade degli esuli.L’ultimo pensiero del ct è rivolto ai piccoli afghani, dai rifugiati di Peshwar agli scugnizzi di Kabul, vittime del degrado, di un sistema educativo inadempiente e di infrastrutture sanitarie inesistenti. «Nonostante tutto ciò abbiamo fondato tre scuole calcio con 600 bambini che possono tirare calci a un pallone tutti i giorni». Come era solito ricordare Giovanni Paolo II, i bambini che hanno visto la guerra sono l’unica speranza di pace.
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