mercoledì 1 luglio 2009
Morta a 68 anni l’artista tedesca che ha rinnovato in modo determinante il balletto del 900. Doveva arrivare al Festival dei due Mondi per l’anteprima mondiale del suo lavoro «Bamboo Blues» il 4 luglio
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Improvvisa, inattesa, proprio alla vigilia del suo ritorno in Italia, al Festival dei Due Mondi di Spoleto con una delle sue ultime produzioni in anteprima mondiale il 4 luglio, Bamboo Blues, dedicato all’India, giunge la notizia della tragica scomparsa di Pina Bausch l’artista che più di altri nel Novecento rivolu­zionò il concetto della danza allargandone fi­no agli estremi le prospettive artistiche. È scomparsa a 68 anni stroncata inaspettata­mente da un tumore diagnosticato appena cinque giorni prima. Personaggio, la Bausch, alla quale sono debitori decine e decine di ar­tisti. È difficile infatti immaginarsi che cosa sareb­be stato il mondo della danza dell’ultimo mez­zo secolo senza la paradigmatica esperienza e creatività di Philippina (detta Pina) Bausch nata nel 1940 a Solingen una cittadina indu­striale tedesca vicino a quella Wuppertal dove avrebbe poi trovato sede la sua famosa com­pagnia ancora oggi faro europeo. Cresciuta al­la scuola del grande Kurt Jooss, padre fonda­tore della danza espressionista, e maturata a New York sia al New American Ballett sia al Metropolitan Opera, questa geniale artista dal­l’inconfondibile silhouette sottile e dall’effigie esangue, sofferente come in preda all’immi­nente consunzione ma in realtà potente cori- fea di quel che per definizione si chiama Tanztheater, é riuscita infatti a modificare gli orizzonti culturali ed estetici della danza con­temporanea guadagnandosi non solo una schiera infinita di imitatori ma anche un pub­blico insospettabile. Forse il pubblico più nuo­vo e più largo che qualsiasi altro coreografo del nostro tempo abbia attirato a sé. Svilup­pando meccanismi molto personali la Bausch ha modificato in maniera del tutto inedita i concetti di tempo e spazio teatrale. Per dare corpo a questi concetti a usare una gestualità immediata e forte, di crudo impatto, tale da provocare nello spettatore una grande parte­cipazione emotiva, assoluta e spesso violenta. E tutti i suoi spettacoli , anche quelli meno riu­sciti, e soprattutto dell’ultimo decennio, a di­mostrarlo, a cominciare da Café Muller. Il suo indiscutibile capolavoro risalente al 1978 e quasi subito apparso anche in Italia anche se in veste di danzatrice la Bausch si era già vista negli anni precedenti e proprio a Spoleto. La prima, il sorprendente Café Muller, diven­tato quasi subito un vero 'cult ballet', di tan­te opere straordinarie. che poi avrebbero fat­to parte della sua agiografia e viste in tutto il mondo. Un lavoro di soli quaranta minuti ma perfetto Café Muller dove in un ambiente scar­no popolato solo da una serie di sedie lo spos­sante inseguimento di tre coppie si sublima in una coazione senza contatto, che insegue il distacco, l’amore, la morte. Il tutto agito nel­l’immobilità del tempo e delle emozioni. Una lunga catena di opere quelle lasciateci dalla Bausch, dove fra le più interessanti e tut­tora validissime é giusto almeno ricordare, ol­tre ad una celebre e di grande vigore espres­sivo versione della stravinskiana Sagra della primavera, così come Nelken, come Blaubart, come 1980 ( forse il suo lavoro più struggente), come Bandoneon, come Kontakthof. Que­st’ultimo una storia di vite vere intrecciate al­la vita di uno spettacolo memorabile e dal rit­mo perfetto. Così me la serie di lavori dedica­ti alle città più famose al mondo, vedasi Vik­tor un omaggio a Roma. E Fellini la volle nel­la parte di una contessa non vedente ne E la nave va. Davvero poche personalità come quelle della Bausch hanno influenzato un’ar­te che da secoli continua ad essere la più ful­gente e legata alla vita e che sempre é pronta a rinnovarsi.
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